Bezos: «Andrei via da un'azienda che tratta male i dipendenti»

Il fondatore di Amazon scrive una lettera aperta, ma sono molti gli «amazonians» che lasciano il gruppo

Non si attenua la querelle tra Jeff Bezos, fondatore di Amazon nonchè proprietario del Washington Post , e il New York Times che è anche, guarda caso, il maggior concorrente del quotidiano della capitale Usa. Così all'inchiesta del foglio newyorchese che ha raccontato la vita dei dipendenti, 90 mila nel mondo, di Amazon, costantemente monitorati e stimolati a produrre sempre di più, il miliardario non ha esitato a rispondere. Per Bezos i racconti non sono reali. «Credo fermamente che chi lavora in una società che è davvero come quella descritta dal New York Times sarebbe pazzo a rimanere. Io la lascerei».

Il problema è che Amazon è tristemente famosa per il «trattamento speciale» che riserva ai suoi dipendenti. Già tempo fa aveva fatto scalpore il racconto di una donna americana, che aveva deciso di lasciare il posto in uno dei magazzini, riducendosi in povertà. E poi c'è il caso dei dipendenti in Germania sottoposti al controllo di un servizio di sicurezza chiamato Hess, nome che rimanda la gerarca nazista Rudolf. Bezos, 51 anni, ieri però non ha esitato a prendere pc ed e-mail per inviare una missiva ai dipendenti, invitando tutti gli «amazonians» a leggere attentamente l'articolo di cui fornisce il link diretto con il sito del New York Times. Naturalmente Bezos non si riconosce in quanto descritto. Anzi chiede ai dipendenti di rivolgersi direttamente a lui, tramite mail, per segnalare storie come quelle riportate dal quotidiano della grande Mela.

«Anche se sono casi rari o isolati, la nostra tolleranza per tale mancanza di empatia deve essere zero - ha scritto Bezos - L'articolo sostiene che il nostro approccio è quello di creare un luogo di lavoro senz'anima in cui non c'è divertimento e non si sentono risate». Bezos passa poi alla ragionevolezza: «Non credo che una società che adotta questo approccio potrebbe sopravvivere né prosperare in un mercato come quello odierno».

L'emorragia di «amazonians» però è evidente tanto che molti colossi della tecnologia, primi tra tutti Facebook e LinkedIn, stanno aprendo sedi a Seattle per attrarre gli ex-dipendenti del colosso dell'e-commerce. E se sul New York Times la polemica infuria, il Washington Post si è limitato a un «signorile» silenzio, senza dunque prendere le difese del suo miliardario editore.

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