Uno bianca, permesso al killer pentito: scontro

Marino Occhipinti, ex poliziotto, condannato all'ergastolo per i delitti della banda: 24 omicidi e decine di rapine. Fa il centralinista dell'Usl. Per il giudice è un detenuto modello e merita di uscire dopo 14 anni di cella. No dei parenti delle vittime

Uno bianca, permesso al killer pentito: scontro

Milano - Il killer risponde al telefono. Cortese, disponibile, professionale. Dicono sia uno degli operatori più efficienti.

Chiami il call center dell’Usl 16 di Padova e il filo ti può portare nel carcere Due Palazzi. L’appuntamento col medico lo fissa Marino Occhipinti, ex agente di polizia, 43 anni. È un ergastolano. È uno dei killer della Uno bianca, da quando di anni ne aveva 29 vede il sole a scacchi. Ma secondo il giudice del tribunale di sorveglianza, è anche un detenuto modello, tanto da poter meritare un permesso premio. Del resto un suo collega di scorribande è già uscito. Pietro Gugliotta, anche lui poliziotto criminale, gregario di questa banda cannibale che per anni seminò morte tra Bologna e Pesaro (24 omicidi, decine di rapine e un centinaio di persone ferite): lui il mese scorso è tornato libero. Fine pena, con qualche anno d’anticipo. Farà l’educatore.

Per l’ex sovrintendente della sezione «narcotici» della Mobile, il discorso è diverso. Il tribunale di Bologna gli ha inflitto il carcere a vita. In questi anni ha seguito un percorso di recupero che gli ha permesso di diventare centralinista dell’Usl e di scrivere per la rivista del penitenziario «Ristretti Orizzonti». Adesso Occhipinti vorrebbe almeno un giorno di libertà. Per poter riabbracciare moglie e figlie. I parenti delle vittime si oppongono. «Nessuna apertura», dice Rosanna Zecchi, presidente dell’associazione. «A settembre convocherò il direttivo per discutere del caso. Deciderà l’assemblea, ma sia chiaro: per quel che mi riguarda la risposta sarà drastica».
Sono trascorsi quasi 18 anni da quella sera del 1990. Era il 6 ottobre, suo marito Primo stava aspettando lei e la figlia per strada quando udì dei colpi di pistola. Una rapina, una delle tante della banda dei fratelli Savi. Zecchi urlò, tentò di annotare i numeri di targa dell’auto dei banditi. E fu ucciso. Crivellato di colpi. Un testimone in meno.

La prima richiesta di un permesso premio è stata respinta, proprio perché «manca il dialogo» con i parenti delle vittime.
Una condizione tuttavia non indispensabile ma che il giudice di sorveglianza Giovanni Maria Pavarin vorrebbe comunque facesse da corollario al suo percorso di recupero. Presto l’avvocatessa dell’ex poliziotto, Milena Miceli, tornerà alla carica.

«Occhipinti - conferma il giudice - è un detenuto modello. Si è pentito. E alla presa di coscienza delle proprie azioni è seguito il tentativo di riscattare il male che ha fatto. Facendo del bene. I presupposti per concedergli un permesso premio ci sarebbero tutti. L’unica cosa che manca è il dialogo coi parenti delle vittime, dialogo che non hanno mai voluto ma che noi non smetteremo di cercare».
La legge non lo impone.

«Tocca solo al giudice decidere - spiega il penalista Gaetano Pecorella -. Certo i fatti per i quali è stato condannato Occhipinti sono talmente gravi e crudeli, da farmi considerare perlomeno prematura la concessione di un permesso premio».

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