Biancaneve, principessa contemporanea

Una Biancaneve completamente nuda, il cui corpo vagando sulla scena assorbe e svuota il flusso di parole che lo attraversa, si impone nel primo dei due atti unici di «La morte e la fanciulla I e III - drammi di principesse» di Elfriede Jelinek, regia di Federica Santoro, in scena al «Teatro i» fino a domani. Una straordinaria principessa contemporanea, che come dice la regista si offre come «icona della donna da copertina e divinità allo stesso tempo», e si aggrappa alla sua nudità come punto di forza e tallone d'achille insieme. Biancaneve, interpretata dalla brava attrice Luisa Merloni, affronta così il titanico scontro con il cacciatore che simboleggia in realtà la morte, il tempo nemico assoluto della bellezza. Uno scontro proposto in una versione radicale e beffarda, nella rivoluzionaria scrittura della Jelinek, in cui i personaggi sono divinità pop, ironiche, fatte di stratificazioni dell'immaginario comune assolutamente calate nel nostro tempo. Biancaneve cerca i sette nani che diventano in questa provocatoria lettura sette ridicoli oggetti erotici, prima di incontrare la morte interpretata in versione maschile, dalla stessa regista. Il secondo atto unico propone una sintesi spietata del non incontro di una coppia, Rosamunda e Fulvio, che fallisce il disperato tentativo di incontro tra la donna artista-scrittrice e l'uomo preso dalla mondanità, dallo sport. «Drammi di principesse» è un ciclo di atti unici che la drammaturga va elaborando dal 2001. Questo progetto ha come tema centrale la figura della «principessa»: quella eterna della favola (Biancaneve e Rosamunda), sulla quale si innesta quella moderna da rotocalco, fino a creare una nuova potente personalità femminile che scardina gli schemi preordinati. Nella sua scrittura la Jelinek, innovativa e visionaria, usa come regola fondamentale quella che non esistono regole: «Io ingrandisco o riduco le mie figure, in una dimensione super umana. Mi interessano la polemica, il contrasto, i colori accesi. Colpisco per così dire con l'ascia, in modo che non cresca più l'erba dove sono passate le mie figure». Di qui la ferocia e il pericolo dello scontro senza mediazioni tra le protagoniste: uno scontro tra il femminile e il maschile, tra la fanciulla e la morte, reso dal disegno registico tagliente e visionario come la parola da cui scaturisce. Per questo il teatro che nasce dalla parola della scrittrice è destrutturato, nega le sue stesse regole: azioni, personaggi e luoghi esistono solo tra le righe. La parola non è usata in senso narrativo, afferma la regista, bensì diviene tutt'uno con la battaglia che si combatte.

I dialoghi tra le due protagoniste, dice Federica Santoro, sono in realtà dei monologhi, anzi soliloqui in cui si evidenzia la solitudine, la mancata relazione: nel primo atto unico, anche lo spazio è diviso in due parti da un neon a terra e l'unico contatto tra i protagonisti sarà con la morte di Biancaneve, uccisa da una Ferrari giocattolo telecomandata. Altro tema fondamentale proposto nello spettacolo è la domanda sulla possibilità ultima della stessa rappresentazione teatrale, risolto in una magica sospensione del finale assolutamente fuori dagli schemi.

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