Cultura e Spettacoli

BIBLIOTECA STORICA DEL ’900

Dopo la nascita della dittatura fascista, annunciata il 3 gennaio 1925, Mussolini subì numerosi attentati. Il primo fu ideato nel novembre di quell’anno dal deputato socialista e massone Tito Zaniboni, ma fu sventato dalla polizia segreta. Il 7 aprile 1926 Violet Gibson, un’aristocratica signora anglo-irlandese sessantenne, sparò a Mussolini, che si salvò solo con un balzo indietro, venendo ferito di striscio al naso. L’11 settembre 1926 l’anarchico Gino Lucetti lanciò una bomba contro l’auto del duce, l’ordigno rimbalzò contro lo sportello, esplose in strada e ferì otto persone. Il 30 ottobre Mussolini inaugurò lo stadio Littorio a Bologna, e la sera successiva, mentre sfilava in auto, dalla folla partì un colpo di pistola che gli sfiorò il petto: a sparare era stato – sembra – un giovane di quindici anni, Anteo Zamboni, che fu immediatamente pugnalato dai fascisti presenti, poi la folla fece scempio del corpo.
La serie di attentati fu una buona giustificazione per emanare, nel novembre del 1926, le leggi che determinarono la fine del sistema parlamentare. I partiti antifascisti furono sciolti, i deputati ostili dichiarati decaduti, i giornali non in linea con la politica del governo, soppressi; venne istituito il confino e stabilita la pena di morte per chi attentasse a membri della famiglia reale o al capo del governo. L’«anno napoleonico» annunciato dal duce si concluse con la creazione del Tribunale Speciale per la Sicurezza dello Stato, nonché di una polizia politica segreta, l’Ovra. Furono due degli strumenti per punire chiunque manifestasse volontà diverse da quelle del regime.
L’attentato del giovane Zamboni rimane a tutt’oggi il più misterioso e irrisolto. Il padre, Mammolo, era un ex anarchico divenuto fascista e amico del ras di Bologna Leandro Arpinati; in prigione dichiarò: «Non ho difficoltà di dire apertamente e lealmente che sono anarchico e fascista nello stesso tempo». Lo stesso Anteo era un balilla convinto e suo fratello maggiore, Assunto, finì per diventare una spia dell’Ovra.
Il libro di Brunella Dalla Casa, Attentato al duce. Le molte storie del caso Zamboni (pubblicato dal Mulino e riproposto da domani dalla Biblioteca storica del Novecento del Giornale) è prima di tutto un’avvincente ricostruzione di una vicenda familiare, singolare quanto complessa. I familiari di Anteo vennero tutti condannati al confino o al carcere, benché del tutto estranei all’attentato. Grazie a una straordinaria documentazione inedita, Dalla Casa restituisce fedelmente caratteri e vicende, a partire da quella di Anteo, che in casa veniva chiamato «Patata», a riprova di una personalità non proprio brillante. Però l’autrice non riesce, e forse ormai è impossibile, a sciogliere il vero nodo della vicenda: se Anteo sia stato davvero un aspirante tirannicida o la vittima – forse non casuale – di un gioco più grande di lui.
È infatti lecito il sospetto che l’attentato sia nato in un gruppo di duri e puri fascisti friulani, sostenuti dall’estremista Roberto Farinacci, contrari alla politica di «normalizzazione» del fascismo intrapresa da Mussolini per mettere fuori gioco gli estremisti interni. Il libro è avvincente proprio per il doppio taglio di indagine storiografica e familiare, e svela molti aspetti del fascismo bolognese, che fu determinante nel successo del movimento e nei suoi sviluppi successivi, soprattutto attraverso le sue due figure principali, Dino Grandi e Leandro Arpinati. Il primo sarà destinato a provocare la caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943; il secondo, divenuto potentissimo sottosegretario agli Interni, cadde in disgrazia nel 1933 per i suoi contrasti con il segretario del partito Achille Starace, si ritirò a vita privata dopo un periodo di confino. Il 22 aprile 1945 venne ucciso dai partigiani: forse per vendetta, forse per togliere di mezzo un uomo che si proponeva come ponte fra partigiani, socialisti e liberali, con un accordo che avrebbe svuotato la carica rivoluzionaria della Resistenza. Brunella Dalla Casa dirige l’Istituto per la storia della Resistenza di Bologna e da anni sta preparando un saggio su Arpinati che forse svelerà il segreto di quella morte, più di quanto abbia potuto fare con quella di Zamboni.
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