Un bicchiere di troppo e una moglie di meno

Beveva forte ma gli fu fatale un sorso d’acqua Omosessuale represso, si sposò per «vincere il vizio» ma tre mesi dopo le nozze i suoi parenti liquidarono la signora

La première non era andata un granché. Ciò non gli impedì di fare bisboccia nel migliore ristorante e di prendersi l’ennesima sbornia. L’indomani - era il giorno dei Morti del 1893 - si sentì poco bene. Bevve un bicchiere d’acqua, ma senza farla prima bollire, precauzione elementare per scampare al colera che serpeggiava in città. Il giorno dopo stava peggio e i medici gli diagnosticarono l’infezione. Cadde in deliquio e il 6 novembre era morto. Ucciso dallo stesso morbo che, 39 anni prima e nella stessa città, aveva portato via sua madre Alessandra, marchesa d’Assier.
Il Nostro aveva avuto una vita più che accettabile. La famiglia era benestante e poté garantire ogni agio a lui e ai sei fratelli. Né impedì al giovane di seguire la propria vocazione quando, dopo essersi laureato in Giurisprudenza, decise di lasciare l’impiego al ministero della Giustizia per darsi all’arte. Quando poi, morta la madre e invecchiato il padre, finì in qualche ristrettezza, subentrò una benefattrice che gli appianò ogni difficoltà.
Nedezda von Meck era la ricca vedova di un costruttore di ferrovie. Fu lei a farsi viva col Nostro che aveva allora 37 anni, 9 meno della signora von Meck. La nobildonna si dichiarò «folgorata» dalla sua opera e desiderosa di aiutarlo a lavorare senza affanni. Gli assegnò una munifica rendita annuale, fissando una condizione: che non dovessero mai incontrarsi. «La voglio solo - gli scrisse - come amico prediletto». Ebbero per 14 anni una copiosa corrispondenza e fu lei l’unica a conoscere i più intimi segreti del suo pupillo. Mai però si scambiarono una parola a voce. Una sola volta, per sbaglio, si incontrarono faccia a faccia. Il Nostro, che aveva libero ingresso nella tenuta della benefattrice in sua assenza, si imbatté un giorno in lei che passeggiava nel bosco. Si allontanò in gran fretta e l’indomani le scrisse imbarazzato: «Perdonatemi per avere calcolato male l’ora e per avervi incontrata».
Questo stravagante rapporto si interruppe il giorno in cui Nedezda gli revocò all’improvviso la rendita. La lettera era affettuosa, ma netta: «Sono sull’orlo del tracollo finanziario e non posso più sovvenzionarvi. Addio mio incomparabile amico e non dimenticatemi». Il Nostro ci restò male. Non per il denaro, poiché aveva ormai raggiunto successo e benessere, ma per il dubbio espresso di poterla dimenticare. Ignorava ancora la vera ragione della rottura: Nedezda stava morendo di tubercolosi e, contemporaneamente e per la stessa malattia, era in fin di vita suo figlio.
Artista di enorme successo e uomo ricco, il Nostro ebbe come unico cruccio la propria omosessualità. La chiamava «Z». «Oggi - confida al diario - Z mi tortura con insolita insistenza. Che Dio mi risparmi questo tormento. Che essere mostruoso sono!». Non la accettava lui, né la società in cui viveva. Così, per troncare i pettegolezzi decise di accasarsi. «Devo vincere a ogni costo il mio vecchio vizio e fare uno sforzo serio per sposarmi con una qualsiasi donna», scrisse a un fratello. Niente di più facile per lui che era alto, elegante, con gli occhi azzurri e i capelli scuri. Impalmò Antonina, la più sciocca in circolazione. Dopo cinque giorni, scriveva al fratello: «Provo per lei un’assoluta repulsione fisica». Dopo tre settimane, si fece ospitare da solo dal cognato in campagna. Tornò dalla moglie dopo due mesi, ma nel giro di tre giorni era di nuovo disperato. Una notte uscì di casa, reso quasi folle dall’avversione per lei, e tentò il suicidio. Passò a guado un fiume per prendersi una polmonite e morirne. Ma il tempo era mite e rientrò mogio e zuppo parlando di un improbabile incidente di pesca. Infine scappò da Mosca e si rifugiò dal fratello. Ebbe una crisi nervosa e lo psichiatra gli disse che, per uscirne, doveva rinunciare alle sue velleità matrimoniali. Erano trascorsi solo tre mesi dalle nozze quando i parenti si incaricarono di liquidare Antonina che accettò di buon grado la buonuscita.
Per cancellare l’incubo, il Nostro girò sei mesi l’Europa, visitando anche Venezia, Sanremo e Firenze. Intensificò il bere, attanagliato dal tormento sessuale. La creatività tuttavia rimase sempre intatta.

Vinse una passione per il nipote, Bob Davidov, mantenendola sul piano platonico. A lui dedicò la sua ultima e più struggente opera. Quella che fu male accolta la sera prima del fatale sorso d’acqua che portò il Nostro alla tomba cinquantatreenne.
Chi era?

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