Alla Bicocca una vetrina sul mondo

Tutto ha inizio un anno e mezzo fa, grazie a un programma di finanziamenti del Comune

Marina Gersony

«Volete sapere se è facile per uno straniero integrarsi a Milano? Dipende da lui e dalla voglia che ha di darsi da fare. Certo, anche un po’ di fortuna non guasta. Io qui ho dovuto lottare molto, ma sarebbe stata la stessa cosa in qualunque altra parte del mondo». Mary Serah Koroma, volto solare, fisico da modella, è nata nel 1966 a Freetown, in Sierra Leone. La sua è una delle tante storie di immigrazione di chi vive in sospeso tra due culture, quella di appartenenza e quella acquisita.
«Vengo da una famiglia semplice - racconta -. Mio padre era un operaio portuale e aveva quattro mogli. La poligamia là è diffusa, anche per chi è di religione protestante come noi. Dalla prima moglie ha avuto quattro figli, da mia madre dieci e un paio sono nati dai matrimoni successivi. Vivevamo tutti in una grande casa e si andava più o meno d’accordo. Certo, non eravamo al riparo dalle gelosie, ma in fondo eravamo affiatati». Per Mary sono cose normali, anche quando parla con apparente distacco del suo Paese sconvolto dalla guerra civile e dai golpe militari, dove nonostante i progressi in termini di stabilità politica, le condizioni restano gravi soprattutto per le donne e i bambini.
«Mio padre non guadagnava abbastanza, erano le donne a farsi carico dell’educazione e dell’economia domestica. Anch’io, che ero la maggiore, davo il mio contributo. Ho fatto la maestra d’asilo, la sarta, la segretaria e la parrucchiera. L’unico rimprovero che posso fare a mio padre è di non avermi consentito di terminare gli studi. Comunque lo amavo lo stesso, era un donnaiolo incapace di gestire la famiglia, ma era buono. Il regalo più bello della mia vita l’ho ricevuto da lui quando avevo 12 anni: una macchina per cucire».
Mary s’illumina quando parla della sua infanzia disagiata e a tratti felice, della madre coraggiosa e forte, vittima di una tradizione arcaica che l’ha costretta a subire un matrimonio combinato a soli 15 anni. «Quando mi sono innamorata di un milanese e ho deciso di seguirlo in Italia mi ha incoraggiata - ricorda -. Voleva che avessi una vita migliore della sua». L’incontro con il marito, un volontario delle Nazioni Unite, è galeotto: si sposano e si stabiliscono a Milano. «Ho frequentato un corso del Comune per imparare l’italiano, poi ho fatto di tutto, la commessa, la hostess, la barista finché ho incontrato Cannelle, la ragazza delle “Morositas”, che poi è diventata la mia migliore amica. Grazie a lei sono entrata nel mondo della moda e ho iniziato a fare la modella e poi la stilista, un lavoro che ho interrotto più volte perché seguivo mio marito nelle sue missioni umanitarie».
Nel frattempo nascono due bimbi e Mary decide che vuole una vita più stanziale. Un giorno trova un volantino dello «Sportello Rosa», un’iniziativa del Comune per aiutare le donne a realizzare le proprie idee imprenditoriali. Si presenta, fa un’ottima impressione e le accordano un finanziamento. Un anno e mezzo fa ha aperto un negozio etnico in via Nota, 46, angolo via Glicerio, zona Bicocca.

Vende splendidi tessili africani, batik, sete indiane, arazzi, copricuscini, borse in pelle e tessuto, bijoux etnici e fusion da lei creati. «Non è facile, in questa zona c’è poco passaggio, ma ce la metto tutta. E poi devo sostenere la mia famiglia in Africa. Lo devo ai miei figli, a mia madre e soprattutto a me stessa. Ce la farò».

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