La Bielorussia: «È sequestro» Giallo sul voltafaccia dei giudici

La Procura: «I reati li decidiamo noi». Spunta una lettera del tribunale in cui si diceva di non consegnare Maria

Monica Bottino

da Genova

Il professor Giovanni Bollea, il numero uno della Neuropsichiatria infantile in Italia e in Europa, invita la Bielorussia a cedere sul caso di Maria e a lasciarla dove la bambina vuole stare: in famiglia. Il parere del cattedratico rientra in un dossier che verrà presentato a breve al Tribunale dei Minori di Genova da parte dei parlamentari dei Verdi, Tommaso Pellegrino e Massimo Fundarò. «La richiesta è che il tribunale riveda il provvedimento alla luce delle nuove perizie - dice l’avvocato romano Giorgio Vaccaro, esperto di diritto minorile che affianca tecnicamente l’iniziativa dei parlamentari -. Sempre che sia vero che si vuole il bene della bambina». Si legge nella relazione del professor Bollea, neuropsichiatra all’Università la Sapienza di Roma: «Una bambina di dieci anni ricorda molto bene la sua vita e deve essere creduta. In questo caso è sconsigliabile il suo ritorno in un qualunque istituto e la Bielorussia deve accettare di affidarla alla famiglia con la quale la piccola è riuscita a confidarsi... ribadisco che la Bielorussia deve essere d’accordo nel lasciarla in affido alla famiglia italiana. La piccola ricorderà l’importante decisione e un giorno scriverà un grazie al suo ex istituto per averla lasciata libera». Insieme a questa dichiarazione sarà consegnato al Tribunale di Genova il parere del professor Massimo Di Giannantonio, ordinario di Psichiatria all’Università di Chieti che parla di possibili deficit di crescita e di «danni a livello immunitario e del sistema nervoso centrale». E conclude che «la terapia non è compatibile per definizione con la permanenza in un istituto».
L’incontro con il Tribunale dei Minori di Genova potrebbe aggiungere nuovi elementi al reclamo presentato ieri mattina in corte di Appello dagli avvocati civilisti della famiglia Giusto, Alberto Figone e Camilla Dolcini. Nel documento è contenuta in particolare una interessante lettera datata 5 settembre, firmata da Adriano Sansa, presidente del Tribunale dei minori di Genova e inviata al Gabinetto del ministro della Giustizia, Clemente Mastella, come risposta a una richiesta di spiegazioni sul caso bielorusso. E Sansa, rispondendo che «la delicatezza della vicenda è ben presente al tribunale», sottolinea come «le lettere qui inviate dall’Ambasciata della Repubblica di Belarus adoperino a tratti un sorprendente linguaggio intimatorio». Infine conclude: «Per quanto consapevole delle serie implicazioni prospettate nelle note dell’ambasciata bielorussa il tribunale non può evidentemente disporre il trasferimento di un minore in contrasto con le indicazioni mediche competenti». Lo stesso giorno il parere del consulente tecnico del tribunale, una psichiatra della Asl 3 genovese, conferma che la bambina non può essere rimpatriata.
La sorpresa arriva il giorno dopo. Senza comprensibili motivi la posizione di Sansa si ribalta. Il 6 settembre il presidente del Tribunale Sansa impone il rientro della bambina. Cosa è successo in quelle 24 ore? È questo il nodo che gli avvocati della famiglia Giusto vogliono sciogliere.
Ma non basta. Le pressioni esercitate a tutti i livelli dall’autorità bielorussa non sono piaciute ieri al procuratore capo Francesco Lalla. L’ambasciatore Alexey Skripko, dopo che una settimana fa aveva promesso che non se ne sarebbe andato da Genova finché Maria non fosse stata restituita, ieri è ripartito. Ma prima, giudicando nulli i risultati dell’attività investigativa, ha dichiarato che per il governo di Minsk ormai «si tratta di sequestro di persona», annunciando che se a Roma qualcuno non si attiverà per trovare la bambina i rapporti tra i nostri due Paesi s’incrineranno. La minaccia è chiara. «La rubricazione del reato sul territorio italiano è di nostra competenza, non delle autorità bielorusse. Per noi è e rimane quello di sottrazione di minore», ha risposto a Skripko il procuratore capo, che ha aggiunto «noi non abbiamo mai avuto un attimo di rallentamento nelle ricerche. Abbiamo fatto tutto quello che era necessario fare. Non abbiamo mai dato altro input alle forze di polizia giudiziaria se non quello di ricercare la bambina e ritrovarla al più presto. Anche noi siamo tutori della legalità».


Mentre cresce la preoccupazione delle associazioni che riuniscono le aspiranti famiglie adottive, la comunità di Cogoleto, dove vivono i coniugi Giusto, continua a mobilitarsi: nelle scuole è scattata una raccolta di firme a favore di Maria. I suoi amichetti chiedono: «lasciatela in Italia».

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