Gian Battista Bozzo
da Roma
«Sono anni che il governo, e il premier lo ricorderà certamente, ci aveva promesso la cancellazione dellIrap. E adesso che cosa viene fuori? Che lIrap viene tolta solo per la voce costo del lavoro, che interessa un ristrettissimo numero di grandi imprese del manifatturiero. Non ci sto». Il presidente della Confcommercio Sergio Billè parla col Giornale a ruota libera di governo, tasse, pubblico impiego, Confindustria. A questultimo proposito, presidente, perché non è andato allassemblea?
«Non credo che sia importante che io non abbia fatto parte delluditorio. Sento spesso Montezemolo, da tempo fra le nostre due confederazioni si è realizzato un dialogo costruttivo. Siamo sulla stessa lunghezza donda nel condannare una cultura politica che continua a pensare troppo ai giochi di potere».
Tutto bene, allora.
«Su due cose emerse allassemblea di Confindustria, una di sfondo e una di merito, le nostre idee non collimano. Lo sfondo: lautonomia delle rappresentanze imprenditoriali dalla politica non si discute, ma questa autonomia non deve mai correre il rischio di trasformarsi in utopia. Pensare che alla vigilia di un voto, i partiti non pensino ai propri interessi, è una pia illusione. Accordi bipartisan, vista la profondità di questa crisi economica, sarebbero auspicabili. Ma siamo sinceri: chi ci crede»?
E la questione di merito?
«Ci arrivo adesso, e riguarda lIrap. Dividerci in questo momento fra noi imprenditori sarebbe un grave errore: faremmo solo il gioco della politica e di tutto quel che di vetusto e anti-mercato cè in giro. Il settore manifatturiero va salvato, rinnovato e rilanciato ma non con la solita bacchetta magica dellassistenzialismo. Contributi e aiuti sì, ma che siano finalmente mirati a obiettivi precisi: quali prodotti innovativi per riguadagnare quote di mercato, quali strategie innovative, quanti soldi veri da destinare alla ricerca. Se no, è solo fumo».
Bando alla diplomazia: che cosa non la convince nelloperazione Irap?
«Il presidente del Consiglio ci promise la cancellazione di questa vergognosa imposta che colpisce tutte le voci su cui si regge il bilancio di una piccola e media impresa. E ora che cosa viene fuori? Che lIrap viene tolta solo per la voce costo del lavoro, che interessa un ristrettissimo gruppo di grandi imprese, soprattutto del manifatturiero. Il 30% del taglio andrebbe a sole 700 imprese. E agli altri cinque milioni di piccole imprese che cosa resta? Dicono che le piccole non sono in braghe di tela come il manifatturiero. Ma è un teorema che fa accapponare la pelle. Dicono che lo sgravio serve al manifatturiero per rilanciarsi sui mercati. Davvero qualcuno pensa che, con 4,5 miliardi di euro, un settore che in tredici anni ha ingoiato 35 miliardi di aiuti pubblici può rilanciarsi? Andiamo. Il governo sappia che sullIrap non accetteremo soluzioni ingiuste».
Tutto molto chiaro. Manca un commento al contratto del pubblico impiego appena raggiunto. Lei, mi pare, lo sollecitò qualche giorno fa.
«Chiudere il contratto degli statali è stato giusto, lo sollecitavamo anche noi. Ma sarebbe stato necessario affrontare, in parallelo e concretamente, i problemi di una spesa pubblica improduttiva che sta ormai rompendo gli argini. Basterebbe dare unocchiata alla crescita esponenziale degli stipendi dellenorme apparato della dirigenza pubblica per farsene unidea. Insomma, se avessimo visto una strizzata... e invece, nulla, nessuna riforma strutturale della spesa, nessun taglio visibile. E siamo ventanni che aspettiamo i chirurghi...».
Questa crudezza, un po inusuale in lei, dipende solo dallandamento delleconomia?
«Mi pare che la gravità della situazione richieda una buona dose di crudezza, e di sincerità. Guardi, Berlusconi può avere anche ragione a dire che, vedendo sempre la bottiglia mezza vuota, rischiamo di darci la zappa sui piedi.
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