Una parola che fa paura solo a sentirla nominare: meningite. Ma quando subentra il panico, diventa difficile ragionare. Soprattutto se non si è pratici della materia. Un mix che può avere ripercussioni gravissime se si è chiamati ad adottare provvedimenti di rilevanza pubblica. Un esempio: il sindaco di Rieti ieri ha disposto la chiusura delle scuole, perché un bimbo di 18 mesi è morto a seguito di un «sospetto» caso di meningite. «Caso sospetto», la stessa formula usata anche per le morti avvenute nei giorni scorsi in Veneto, Trentino, Lombardia e Sicilia. Un quadro generale che comunque gli esperti definiscono in linea con il trend epidemiologico del virus; anzi, secondo il ministero della Salute, «si osserva negli ultimi due anni una netta diminuzione delle infezioni».
Anche dall’ospedale San Camillo de Lellis, dove il bimbo di Rieti era ricoverato, sono prudenti: «Le cause del decesso sono ancora in fase di accertamento». Ma tanto è bastato a scatenare la psicosi. Psicosi della quale anche il primo cittadino di Rieti, Giuseppe Emili, si dichiara vittima: «Decine di cittadini si sono riversate in massa al pronto soccorso al primo accenno di febbre o mal di testa. Per questa ragione ho disposto la chiusura delle scuole, un provvedimento dovuto più che a cause sanitarie proprio alla psicosi che la notizia scatenata dalla morte del piccolo».
Il direttore generale della Asl di Rieti, Gabriele Bellini, ha sottolineato di «aver sottoposto a profilassi farmacologica tutti i soggetti a rischio perché avevano avuto contatti con il bambino di 18 mesi». Il responsabile del servizio malattie infettive, Giampaolo Natalini, ha precisato che «per i soggetti che abbiano realmente avuto contatti ravvicinati con un caso di meningite il rischio di acquisirla è molto basso e si può facilmente annullare anche questo piccolo rischio, assumendo pochissime dosi di specifici antibiotici che annullano l’eventuale infezione». Risulta invece inutile a tamponare l’emergenza il vaccino antimeningococcico «che inizia la sua protezione dopo almeno 15 giorni».
«Psicosi», eccola l’altra parola che deve far paura più della meningite: ormai nel Veneziano sono oltre 200 le persone (soprattutto giovani) che si sono rivolti nell’ultimo fine settimana al pronto soccorso degli ospedali della provincia temendo il contagio da meningococco. Centinaia anche le telefonate ai numeri istituiti dall’Asl 12 dopo il caso del diciassettenne di Zelarino ricoverato in coma nel reparto di terapia intensiva dell’Umberto I. Oggi sarà il giorno cruciale per conoscere se rimarrà ancora in pericolo di vita.
«Siamo moderatamente ottimisti - ha detto Onofrio Lamanna, direttore dell’ospedale di Mestre -. Le condizioni sono stazionarie, non c’è alcun aggravamento, oggi apriremo una “finestra”, cioè sospenderemo i farmaci che lo sedano per vedere se si risveglia. Infatti in questo momento non sappiamo se lo stato di coma in cui si trova è dovuto alla malattia o ai farmaci che gli somministriamo. Le condizioni generali del giovane sono buone per questo siamo moderatamente ottimisti».
Anche nel Sandonatese continua «l’effetto
Conegliano»: infatti i giovani colpiti dal meningococco nel Trevigiano avevano frequentato anche un locale a San Donà. Nelle ultime due settimane oltre 2000 persone sono state vaccinate nel Veneto orientale. La psicosi continua.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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