Con la Bindi all’Antimafia il Pd vuol indebolire Letta

Epifani impone la pasionaria alla presidenza della commissione, il Pdl diserta il voto e chiede già le dimissioni. I renziani: non ha i requisiti giusti

Rosy Bindi durante la registrazione di  "Porta a Porta"
Rosy Bindi durante la registrazione di "Porta a Porta"

«Un’operazione del Pd contro il gover­no Letta », assicura­no dal Pdl. Ma la pietra dello scandalo, Rosy Bindi, neo-elet­ta presidente della Commissio­ne Antimafia con un voto (25 preferenze) che ha spaccato le larghe intese e riportato in vita la coalizione bersaniana «Bene comune»(Pd-Sel-Socialisti,for­se anche un grillino), cerca di spegnere l’incendio: «Non mi spiego l’atteggiamento del Pdl. Ora parlerò con tutti i loro 12 membri della commissione per chiarire e cercare di ricucire lo strappo». Lo strappo per ora resta: il Pdl non ha partecipato al voto, mi­naccia di non prendere parte ai lavori della Commissione e chie­de a gran voce le dimissioni del­la Bindi (lei ovviamente respin­ge: «Devo rispetto a chi mi ha vo­tata»). In prima fila, guarda ca­so, proprio le colombe alfania­ne - da Cicchitto a Schifani a Gio­vanardi - preoccupate che la vi­cenda dia nuovi argomenti ai “falchi” e indebolisca la loro li­nea pro- Letta: per il popolo ber­lusconiano pochi personaggi so­no più indigesti della Bindi, e la forzatura impressa dal Pd sul suo nome rende molto più com­plic­ato spiegare a quell’elettora­to le buone ragioni del fidanza­mento col Pd. Tanto più alla vigi­lia del voto sulla decadenza del Cavaliere: «Queste sono le pro­ve generali dell’esecuzione», si­bila un Pdl.

Ma anche nel Pd più d’uno non ha digerito l’operazione Bindi, imposta dal segretario Epifani. A dirlo apertamente so­no, al solito, solo i renziani: «Un’occasione mancata per la pacificazione, che fa prevalere gli interessi di parte», afferma Davide Faraone. Niente da ridi­re sul nome della Bindi, «sicura­mente figura all’altezza», ma il metodo è sbagliato: «Una logica partitica su a chi debba andare la poltrona». Invece, «sarebbe stato indispensabile votare in un clima di serenità, non con la maggioranza relativa ma con grande maggioranza che con­sentisse autorevolezza». Cer­cando quindi un altro nome, e Faraone cita esplicitamente quello di Rosanna Scopelliti del Pdl, figlia del giudice ucciso nel ’91 dalla mafia.

A Palazzo Chigi c’è preoccu­pazione per l’ennesimo episo­dio che sconquassa la maggio­ranza: «Così è difficile andare avanti», ammette sconsolato un Letta-boy. Il ministro Dario Franceschini, consapevole del rischio che il nome della Bindi venisse preso come una provo­cazione (e da tempo in rotta di collisione con l’ex presidente del Pd), aveva mandato su tutte lefurie la Bindi tentando di but­tare in pista un’altra candidatu­ra. Quella della giovane deputa­ta Pina Picierno, sostenuta an­che da molte associazioni anti­mafia. «Sul suo nome avremmo potuto ragionare, certo non avremmo fatto barricate», dice Augusto Minzolini. Ma Epifani ha chiuso le porte, e nella riunio­ne con i suoi, lunedì sera, ha taci­ta­to le voci contrarie alla forzatu­ra sulla Bindi, da Faraone a Lau­ra Garavini. «Ho cercato una me­diazione su Dellai- ha spiegato­ma Scelta-Civica stessa lo ha silu­rato con le sue spaccature inter­ne. Ora dobbiamo tenere duro sulla Bindi».Anche perché,ha ri­vendicato, «l’Antimafia spetta a noi, che nel comparto sicurezza non abbiamo neanche un inca­rico: né Interno, né Difesa, né Copasir». E i veti sul nome della Bindi sono «inaccettabili», tan­to più che «noi abbiamo dovuto dare via libera alla Brambilla in commissione Infanzia».

Così ieri si è arrivati al voto mu­ro contro muro, col Pd deciso ad «andare ad

oltranza» su Bindi, i Cinque Stelle sul loro candidato Gaietti (cui son mancati due vo­ti), Sc astenuta e il Pdl fuori. E ora il Pd Faraone auspica un ri­pensamento, per poi «eleggere un nuovo presidente coi requisi­ti giusti».

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