Cultura e Spettacoli

Bioetica, una medaglia a due facce

Maurizio Schoepflin
Quando Hegel volle criticare la concezione dell’Assoluto sostenuta da Schelling, ritenendola non adatta a spiegare la molteplice varietà del reale, la paragonò alla «notte in cui tutte le vacche sono nere». Ebbene, la bioetica di cui parla Giovanni Fornero in Bioetica cattolica e bioetica laica (Bruno Mondadori, pagg. 212, euro 19) non è una notte in cui tutte le vacche sono nere. Scrive Fornero: «Il tema specifico di questo libro... è costituito dalla differenza tra bioetica cattolica e laica», una differenza che non può e non deve essere negata, né messa in ombra, come taluni, a giudizio dell’autore, tentano di fare. Fornero, che pur si dichiara laico, pienamente fedele alla lezione metodologica del suo maestro Nicola Abbagnano, afferma che l’intento che lo muove non è tanto quello di schierarsi pro o contro le diverse posizioni, quanto quello di chiarificarle. E l’opera di chiarificazione approda a un primo decisivo risultato distinguendo in modo netto la dottrina tipicamente cattolica della «sacralità» della vita da quella della «qualità della vita» propria dei laici. Per bioetica cattolica Fornero intende quella contenuta nei documenti ufficiali della Chiesa e nelle opere di studiosi, quali il vescovo Sgreccia e il cardinal Tettamanzi, che a tale insegnamento si rifanno. E di questa bioetica viene sottolineata la razionalità argomentativa: secondo Fornero, infatti, i cattolici, andando oltre l’abituale e un po’ logora contrapposizione di ragione e fede, sostengono le loro tesi appellandosi alla razionalità, nella convinzione che sia possibile giungere a un consenso diffuso se non universale. E anche quelli che vengono spesso considerati punti deboli della bioetica cattolica sono in realtà elementi di forza irrinunciabili: secondo Fornero, il richiamo alla metafisica e alla nozione di legge morale naturale non è un ferro vecchio della controversistica cattolica, ma la riproposizione di verità e valori che possono dare un fondamento solido a una bioetica che non voglia rimanere in balìa del relativismo e dell’arbitrio soggettivo. Su questa linea, Fornero afferma che non si può chiedere ai cattolici di costruire una bioetica «come se Dio non ci fosse»: per loro, in ultima analisi, soltanto Dio e la sua legge possono determinare il bene e il male in ogni campo dell’etica e perciò anche della bioetica. Per la cultura cattolica, il riferimento a Dio è strutturale; e non si tratta soltanto di un rimando a una scelta di fede privata, bensì di un richiamo a una realtà attestata dalla ragione stessa. Da tutto ciò deriva la conclusione che Fornero presenta: la bioetica cattolica non può accontentarsi di un alto quanto generico appello alla dignità della persona umana, ma tende oggettivamente a presentarsi nelle vesti di un personalismo fondato metafisicamente che trova nella nozione, tanto cara a Karol Wojtyla, di progetto di Dio sulla vita il suo decisivo elemento di identità e di differenza rispetto alla bioetica laica. Di quest’ultima, il laico Fornero sottolinea la forte vitalità. Nel serrato dibattito col mondo cattolico, la cultura laica sta sempre più affinando le sue analisi e le sue proposte, le quali risultano caratterizzate dal ricorso al concetto di disponibilità della vita: gli intellettuali laici sono convinti che l’uomo possieda indipendenza e autonomia decisionali rispetto a qualsiasi ordine ontologico dato.

A loro giudizio, non è possibile appoggiarsi a nessuna certezza metafisica e a nessun ordine etico del mondo da cui poter ricavare una serie di divieti morali assoluti.

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