La Birmania libera l’«intruso» Usa «Ma così Obama aiuta il regime»

Dopo il blitz di Bill Clinton in Corea del Nord che ha riportato alla libertà le due giornaliste Usa condannate dal regime, gli Stati Uniti mettono a segno un’altra «impresa diplomatica». Anche questa con la sua scia di polemiche. Si parla sempre di un’operazione che ufficialmente parte da un’iniziativa personale e non su mandato dell’Amministrazione Obama. Il senatore Jim Webb, capo della Commissione del Senato per le relazioni con l’Asia-Pacifico, è volato in Birmania dove ieri ha ottenuto l’«espulsione» del concittadino John Ettaw, il mormone che con una nuotata fino alla residenza off limits di Aung San Suu Kyi aveva decretato la condanna della leader democratica ad altri 18 mesi di arresti domiciliari, guadagnando per sé sette anni di lavori forzati. I due americani hanno già lasciato il Paese.
Ma l’impresa non finisce qui. Webb è riuscito laddove molti avevano fallito: gli è stato concesso - prima volta per un funzionario americano - un faccia a faccia con il capo della giunta militare Than Shwe e un incontro - a luglio negato addirittura al segretario dell’Onu Ban Ki-moon - con il Nobel Suu Kyi. Particolari non irrilevanti, che hanno subito generato perplessità tra i gruppi d’opposizione birmana, convinti che la politica obamiana della mano tesa finisca per fare il gioco dei generali. La missione di Webb conferma infatti il parziale ripensamento della Casa Bianca sul dossier birmano. Sebbene Washington abbia recentemente rinnovato le sanzioni economiche nei confronti del regime, tra i politici americani si fa strada la consapevolezza - espressa da Webb così come dal segretario di Stato, Hillary Clinton - che tali misure siano inefficaci, con i generali saldi in sella e lasciati sotto la sfera di influenza della Cina. A luglio, durante un vertice dei Paesi del sud-est asiatico, l’ex first lady aveva evocato la possibilità di permettere investimenti americani in Birmania, nel caso la giunta liberasse Suu Kyi, dando il via a un processo di riconciliazione nazionale. Una linea confermata ieri dalle parole di Webb: «Credo da tempo che se alcuni ostacoli fossero rimossi, ci sarebbe una naturale amicizia tra gli Stati Uniti e la popolazione di questo Paese». Il senatore si è poi detto orgoglioso di promuovere migliori relazioni tra i due Paesi.
«Non penso che Webb possa essere fiero del rilascio di Yettaw, mentre Suu Kyi (che ha passato agli arresti 14 degli ultimi 20 anni, ndr) rimane ai domiciliari», denuncia Aung Din, del gruppo Us Campaign for Burma. Che continua: «Questo produrrà un’impressione negativa tra la popolazione, penseranno che gli americani non hanno problemi a soddisfare i dittatori, pur di riprendersi i propri cittadini». Stessi timori espressi anche da «Studenti della generazione 88» e dalla «Alleanza di tutti i monaci birmani», tra i gruppi promotori delle proteste pacifiche represse nel sangue dal regime nel 2008. Tutti vedono nella missione di Webb una sorta di legittimazione della giunta al potere.
Gli Usa sono da anni i principali fautori della linea di isolamento nei confronti della giunta di Naypidaw, legando sempre qualsiasi possibile concessione alla liberazione della «Signora».

Per molti analisti, queste aperture dei generali a Washington non sono altro che una calcolata manovra diplomatica per allentare la pressione internazionale e le minacce di ulteriori sanzioni seguite al verdetto contro Aung San Suu Kyi, emesso la settimana scorsa. E tra gli esperti c’è anche chi avverte: Washington non si illuda, la Birmania non lascerà mai l’appoggio di Pechino per quello americano. È l’unica cosa a cui per ora tiene veramente.

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