Rangoon - Mentre le vittime del ciclone Nargis aspettano nel fango i soccorsi, il regime birmano mette in scena il "suo" referendum, per far approvare da un popolo intimidito una nuova costituzione che sancisce il suo potere. Gli aiuti internazionali intanto arrivano fra mille difficoltà, imposte da una giunta diffidente verso tutto quello che viene da fuori. Cosa che ha suscitato anche le proteste del presidente francese e del cancelliere tedesco. Il regime ha fatto propaganda per settimane a favore del referendum costituzionale, invitando i cittadini a "fare il loro dovere patriottico" e approvare la nuova carta, la terza dall'indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1948. La Birmania non ha più una costituzione dal 1988, quando i militari (al potere dal '62) abolirono quella in vigore.
L'anno scorso la giunta ha formato una commissione, tutta di militari e funzionari governativi, che ha redatto il progetto di nuova carta. Secondo i militari, questa permetterà il ritorno ad una democrazia multipartitica nel 2010. A leggere il testo, la cosa non sembra così certa. Il capo delle forze armate potrà nominare i ministri più importanti ed assumere i pieni poteri in casi di emergenza. I militari avranno un quarto dei seggi in parlamento e il diritto di veto sulle leggi. Il progetto di costituzione esclude dalla vita politica i birmani che abbiano coniugi o figli stranieri. Una misura ad personam contro il leader dell'opposizione, il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, agli arresti domiciliari da 18 anni, vedova di un britannico e madre di due figli che hanno la doppia cittadinanza.
I paesi occidentali e l'opposizione hanno liquidato la nuova carta come un sistema per consolidare il potere del regime. Ma i cittadini birmani sono stati "invitati" in tutti i modi dal governo a votare sì al referendum per l'approvazione. Da un lato con la propaganda, compresa una canzoncina "Andiamo a votare" cantata in tv da cinque allegre cantanti, mentre il paese piangeva i morti del ciclone. Dall'altro lato con l'intimidazione, da parte delle autorità locali del regime. "Io ho votato sì. E' quello che mi hanno detto di fare" ha dichiarato all'uscita dei seggi un cittadino di 57 anni di Hlegu, a nord di Rangoon. La sua dichiarazione riassume bene lo spirito con il quale si sono presentati alle urne gli elettori birmani. Questi oltretutto non votavano più dal 1990, quando le elezioni parlamentari furono annullate dai militari per scongiurare la vittoria del partito di Aung San Suu Kyi.
Il regime non ha voluto rinviare la consultazione, nonostante il disastro provocato dal ciclone Nargis, che ha fatto secondo il governo 23 mila morti e 37 mila dispersi (100 mila secondo fonti diplomatiche) e ha colpito un milione e mezzo di persone. La giunta secondo gli esperti vuole dimostrare che ha la situazione sotto controllo e che non rinuncia ai suoi progetti, neppure di fronte ad una tragedia nazionale. L'ostinazione e la chiusura del regime si fanno sentire anche sul fronte degli aiuti internazionali.
Aerei e navi di soccorsi dall'estero continuano ad arrivare, ma il governo li fa entrare tra infinite difficoltà, sempre timoroso di far passare, insieme ai sacchi di riso, anche fantomatici agenti stranieri. L'Alto Commissariato Onu per i rifugiati ha portato nel paese i primi due camion di aiuti.
Ma due aerei del Programma alimentare mondiale delle Nazioni unite sono stati di nuovo bloccati all'arrivo a Rangoon, come era già successo ieri. Le difficoltà agli aiuti hanno suscitato oggi le proteste ufficiali del presidente francese, Nicolas Sarkozy, e del cancelliere tedesco, Angela Merkel.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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