Bisio e Borgnine annaspano tra il thriller e la commedia

È bravo Claudio Bisio. Specialmente a scegliere i film sbagliati. Oddio, non è che La cura del gorilla sia brutto come Asini di sette anni prima, però poco ci manca. Per cominciare, è una commedia o un thriller? Boh. Magari un fritto misto, con sì e no un paio di battute spiritose e una trama gialla più inconsistente di un budino, che il debuttante Carlo A. Sigon ha tratto dal romanzo omonimo di Sandrone Dazieri. Ecco la storia che ondeggia tra Milano e Cremona. Ha scoperto a sei anni di essere affetto da una rara forma di schizofrenia il mite Sandrone, detto il Gorilla (Claudio Bisio). Appena si addormenta si trasforma nel violento Socio e per non confondersi con lui annota diligentemente tutto sul notes. In manicomio mai, ha deciso da subito con la mamma (Gisella Sofio), da cui ogni tanto si rifugia durante le pause del suo lavoricchio di investigatore privato. Senza licenza, come ben sa l’amico commissario Gipi (Bebo Storti). Tampinando la grintosa Vera (Stefania Rocca), impiegata in un centro di accoglienza, s’imbatte nel cadavere dell’albanese Adrian. Chi l’ha ucciso? Lo scoprirà facendo da accompagnatore al vecchio divo americano Jerry Warden (Ernest Borgnine), in Italia per una comparsata a un convegno. Nel film che si dipana con eccessiva flemma nel sottobosco della mala, tra immigrati e faccendieri di minimo cabotaggio, tipo l’esagerata macchietta Giò Pesce (Antonio Catania) con parrucchino. Insomma una (mezza) delusione con l’invadente voce fuori campo di Bisio che cerca invano di spiegare tutto.

E forse non a caso mormora nel finale: «Io non ho capito niente». Peccato per l’ottantanovenne, glorioso e super arzillo Ernest Borgnine. Meritava di meglio.

LA CURA DEL GORILLA (Italia, 2005) di Carlo A. Sigon con Claudio Bisio, Stefania Rocca. 96 minuti

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