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Blair in crisi, anche i fedelissimi lo lasciano

Il leader britannico: «È sleale e sbagliato». I ribelli: «Passi la mano a Gordon Brown»

Erica Orsini

da Londra

Altro che elegante uscita di scena. Se continua così Tony Blair rischia di fare la fine della Thatcher, «cacciata» anche da coloro che in passato l’avevano osannata. Sette parlamentari laburisti si sono dimessi ieri, uno dietro l'altro, nell’ambito di una rivolta interna senza precedenti. Il motivo è sempre lo stesso, il testardo rifiuto del premier britannico di fissare una data precisa per le sue dimissioni. Dopo mesi di polemiche estive, nei giorni scorsi il tabloid The Sun una data l’aveva annunciata, anzi due. Secondo fonti che sarebbero molto vicine all’esecutivo, Blair dovrebbe lasciare la guida del partito il 31 maggio prossimo e l’incarico di primo ministro il 26 luglio. Affermazioni immediatamente smentite dal portavoce ufficiale di Downing Street che le ha liquidate come le solite speculazioni giornalistiche e a cui nel pomeriggio di ieri ha fatto immediatamente seguito l’abbandono in massa di sette parlamentari laburisti. Tra questi il sottosegretario alla difesa Tom Watson e gli assistenti ministeriali Khalid Mahmood, Wayne David, Ian Lucas, Mark Tami, Chris Mole e David Wright. Watson come gli altri, fedelmente a fianco del leader laburista dal 2001, era stato tra i 17 firmatari di una lettera in cui si chiedeva al primo ministro di fissare una data precisa per il cambio della guardia sottolineando le preoccupazioni che motivavano questa richiesta. L’appello era stato però fatto arrivare alla stampa che non aveva perso l’occasione di sbattere la succosa notizia in prima pagina suscitando la furiosa reazione di Blair. Il premier britannico è un uomo che regge bene le tensioni politiche, ma anche lui ha un limite di sopportazione. La difficile situazione in Irak, l’assenza di una posizione chiara sugli ultimi accadimenti in Medio Oriente e tutti i sondaggi a sfavore degli ultimi mesi ormai lo perseguitano con ossessiva determinazione. Così ieri, dopo aver appreso delle dimissioni di Watson il premier ha commentato che l’avrebbe comunque «licenziato», ma voleva fargli la cortesia di parlargli di persona prima di rendere pubblica la cosa. Non certo - ha fatto intendere il primo ministro - come hanno fatto l’ex sottosegretario e i suoi degni compari, esprimendogli i loro timori a mezzo stampa in un modo che Blair non ha esitato a definire «sleale, scortese e sbagliato». «Se Watson fosse venuto a parlarmi sarebbe stata una cosa - ha detto - ma in questo caso sarebbe stato impossibile per lui rimanere nel governo». E infatti il collega di partito, assieme agli altri dissidenti, non ha aspettato un invito più autorevole ad andarsene, l’ha fatto di sua spontanea volontà creando ancor più scompiglio e scippando a Blair anche l’ultima magra soddisfazione. Significativo e grave, per gli esperti politici, il contenuto della nota stampa inviata ai media dai «ribelli». È infatti «triste» convinzione comune che la permanenza di Blair a Downing Street «non è più nell’interesse del partito né del Paese». «È necessario che il Labour rinnovi la propria leadership», ha scritto Watson nella sua lettera di dimissioni e in un’intervista radiofonica alla Bbc Wayne David ha rincarato la dose aggiungendo che sarebbe meglio per Blair «passare la mano a mister Brown il prima possibile». Sempre ammesso che a questo punto il buon Gordon, sia ancora il sostituto più adatto. Se infatti non sorprende che il suo nome venga ancora fatto da David che fino a ora era sempre stato tra i sostenitori della linea blairiana, non è detto che gli altri laburisti adesso accettino una scelta che fino a qualche tempo fa pareva scontata. Secondo molti analisti della sinistra inglese le posizioni di Brown sono troppo vicine a quelle di Blair perché la sua candidatura posso essere ritenuta innovativa. Con i conservatori in vantaggio nei sondaggi, nessuno nel partito vuole rischiare di riproporre le solite trite strategie nazionali insistendo su una politica estera che in troppi giudicano fallimentare. Così, i due alleati di ferro arriveranno al congresso laburista annuale del 27 settembre nel peggiore dei modi.

Blair ha ormai tutti contro e Brown rischia per l’ennesima volta di rimanere al palo.

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