Bob Ashley: elegante elettronica nella sua «escursione celestiale»

«Va, pensiero». Lo credereste? Sto parlando della Biennale di musica contemporanea, a Venezia. Questa volta si intitola così: spunto per la provocazioncella, accentuata da una grafica casalinga fino all’imbarazzo, è che ci sono degli incontri fra musica e filosofia. Buon esito: la gente ha riempito i concerti e ha fatto festa, sia quando la performance era una specie di «son et lumière» subacqueo in piscina per musicofili in ammollo, sia quando si riascoltavano gli autori più solidi di ieri, come Friedrich Cerha e Wolfgang Rihm. Ma ancora una musica quietamente assorta a contemplarsi, quasi che avesse nel suo prezioso grembo i germi dell’attualità, senza bisogno di venir fecondata dalle attese della storia. Significativo uno degli eventi più applauditi, l’opera antiteatrale Celestial excursion, con l’autore americano Bob Ashley e quattro disciplinatissimi altri interpreti, tutti a tavolino, a leggere con lui testi crudelmente suggestivi di saggezza sulla vecchiaia (in inglese, senza una traduzione offerta).

Un’ora e mezza di mottetti in una polifonia di voci parlanti graduatissime, attraversate da una cauta ed elegantissima elettronica e qualche nota di uno svagato pianoforte. Griffe inconfondibile, anche se di un prodotto non di primo pelo. Con un poco di cantilena raffinata. Birignao? Diciamo «Beereegnow».

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