Boban: «Il gol di Thuram, la mia ossessione»

«Sbagliai e la Francia andò in finale. Giocavamo un samba europeo, l’Italia fu sfortunata ai rigori»

Paolo Brusorio

da Milano

Ancora a Pasadena dovevano trovare il pallone calciato da Roberto Baggio tre metri sopra il cielo nel '94 che un altro rigore sbagliato metteva la parola fine sul nostro viaggio a Francia '98. Pallone gonfiato, mondiali a 32 squadre. Finita l'era Sacchi, l'Italia è nelle mani di Cesare Maldini. Prima di partire la nazionale viene ricevuta dal presidente del Consiglio Prodi che vorrebbe Del Piero titolare. Risposta del ct: «Lui si intende più di ciclismo che di calcio». C'è Bergomi al quarto mondiale, ma non Ravanelli che si ammala di polmonite in ritiro e abbandona il gruppo. Esordio col Cile (2-2 in rimonta, Vieri e un rigore «generoso» di Baggio), 3-0 al Camerun (Di Biagio e doppio Vieri), 2-1 all'Austria (Vieri e Baggio): via col vento, non sembra nemmeno l'Italia. La Norvegia a Marsiglia spianata da Vieri ed è subito Francia. Quarti di finale a Parigi, stadio Saint Denis: Italia a un soffio dalla Bastiglia, 0-0. Ancora rigori. Segnano Baggio, Costacurta, Vieri. Sbagliano Albertini e Di Biagio che centra la traversa. A casa. Il mondiale va alla Francia multietnica: bianchi, africani, caraibici, pied noir: battuto il Brasile di Ronaldo che prima della partita finisce in ospedale per un malore, poi gioca ma è invisibile. Allez la France, ma la sorpresa del '98 ha la maglia a scacchi bianchi e rossi e si chiama Croazia. Il suo capitano e guida è Zvonimir Boban. Sono appena nati, il loro è il primo mondiale
«La Croazia è un piccolo stato malato di calcio. Ma prima dei mondiali c'era una certa diffidenza nei nostri confronti, la qualificazione era arrivata solo dopo lo spareggio contro l'Ucraina, così non si aspettavano molto da noi».
Forse di fare meglio della Jugoslavia
«Sì, ce lo chiedevano. Ma non era il nostro obiettivo principale. Avevamo l'orgoglio nazionale di esserci, ma nessuna degenerazione. Le ferite della guerra facevano ancora male».
Il ct era Blazevic, santone del calcio croato
«Uno show man. Trascinatore. Con noi fu straordinario, si comportò più da psicologo che da allenatore».
Avrebbe potuto allenare in Italia?
«Solo una piccola società di provincia. Una grande? No, gli avrebbero chiesto di stare nei ruoli e lui non è capace».
Da cosa non prescindeva mai?
«Dalla gerarchia. C'era lui, il capitano e gli altri».
Il capitano, cioè Boban
«A volte mi metteva in imbarazzo. Quando lasciava l'allenamento, si rivolgeva prima a me che al suo secondo. “Fate quello che vi dice il capitano”, era il suo ordine alla squadra».
Come giocava quella nazionale?
«Non eravamo una squadra moderna, ma anche il Brasile non lo è. Cercavamo di tenere sempre la palla, ma sottoritmo. Il nostro era un samba europeo».
Davanti c'era un certo Suker, capocannoniere del mondiale
«Davor era geniale. Impersonificava la Croazia. Sembra assente, lento, svagato. Freddo, pulsazioni sempre al minimo. Ma aveva un senso della posizione straordinario».
Gerarchie, ma non solo. Chi era il più bizzarro di quella squadra?
«Prosinecki, Un bohémien del calcio, uno che a 13 anni fumava tre pacchetti di sigarette»
Si dice che ogni mondiale porta qualcosa di nuovo. Quale fu la novità di Francia '98?
«I mondiali li vincono i grandi giocatori non le tattiche. Così avvenne in Francia: l'Olanda arrivò quarta, ma era la squadra più spumeggiante e forse meritava di vincere. Ma alla fine è venuta a galla la qualità di Zidane: lui è stato decisivo e la Francia ha vinto. Tutto qui, non ci sono grandi spiegazioni».
Sorpresi dall'eliminazione dell'Italia?
«Quando esci ai rigori non puoi dire niente. Era partita bene, ma se entra quel tiro di Roby alla fine cambia tutto».
Alla storia passerà anche il suo errore in semifinale contro la Francia: palla persa al limite dell'area e Thuram che pareggia. Quante ci ripensa?
«Nel '98 ho giocato il miglior calcio della mia vita, ma tutti si ricordano di quell'errore. È diventato la mia ossessione, l'ho pagato caro, ma non ci sono spiegazioni. Ho sbagliato, punto e basta».
Come vi accolsero a Zagabria dopo il terzo posto?
«Da eroi. C'erano 250mila persone ad attenderci a Zagabria.

Poi fummo invitati dal presidente Tudjman sulla isola di Brioni».
Che cosa significò per il Paese quel risultato?
«All’esordio avevamo fatto più che la Jugoslavia in 50 anni. I croati avevano dimostrato al mondo il loro valore».
(12. continua)

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