Bocche cucite su Rosa e Olindo il paese vuol spegnere i riflettori

Si avvicina il processo del 29 gennaio: decisiva la testimonianza dell’unico superstite

Bocche cucite su Rosa e Olindo il paese vuol spegnere i riflettori

nostro inviato a Erba

L’eco delle intercettazioni telefoniche pubblicate dal Giornale lascia Erba indifferente, almeno all’apparenza. Quello di ieri è un sabato mattina come tanti, nel piccolo paese della Brianza. Bocche cucite nel bar di Piazza Mercato, al Mar Market e all’edicola di via Volta. Nessuno vuole sentire parlare della strage che meno di un anno fa ha scaraventato nel tritacarne mediatico un intero paese. Che oggi vorrebbe dimenticare, ma non ci riesce. A pranzo il televisore di una trattoria è sintonizzato su Raidue, le risate di Adriana Volpe rivolte agli occhi azzurri di Tiberio Timperi fanno da sottofondo ai brusii degli avventori. I quotidiani sparsi sui tavoli restano chiusi, così come le orecchie quando un «forestiero», davanti a una tazzina di caffè, prova a chiedere qualche informazione. Ci risponde solo un extracomunitario, dice di non sapere dov’è via Diaz, di chiedere al suo datore di lavoro che lo segue a poca distanza. Un paio di chilometri più a nord, sulla strada provinciale che porta a Como, stessi silenzi dentro l’affollatissimo centro commerciale, stessa sensazione di indifferenza. Non si direbbe, pensando che qualcuno avrebbe chiesto, solo qualche giorno fa, di «prenotare» un posto al tribunale per assistere al processo sulla strage che vede unici imputati Olindo Romano e Rosa Bazzi, la cui strategia difensiva ha subìto negli ultimi giorni una clamorosa inversione a U.
Nella casa della mattanza di via Diaz non c’è nessuno. Qualche macchina nel cortile, un paio di persiane marroni aperte nonostante il freddo pungente. Sul citofono ci sono ancora quei nomi diventati tristemente famosi, quasi fosse una lapide d’acciaio: partendo dal basso, Olindo Romano e Rosa Bazzi, Raffaella Castagna e Azouz Marzouk, Mario Frigerio e Valeria Cherubini. L’unico superstite non risponde, non è in casa. È lui il testimone chiave del processo che si aprirà il prossimo 29 gennaio al tribunale di Como.

La sua deposizione fatta agli inquirenti qualche giorno dopo il delitto, e la traccia di sangue trovata nell’auto dei due coniugi, sono le colonne portanti dell’accusa, con un processo che sembra già deciso. Ma i processi sono come le partite. Vanno giocati, fino in fondo.
felice.manti@ilgiornale.it

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