Per chi vive il calcio in una dimensione emotiva, direi quasi sentimentale, come me, ex can da botte dei campetti di Prima categoria e Promozione, oggi e sempre soggiogato dalla intangibile bellezza del calcio «vero», ed attuale genitore di un Pulcino '98 cui trasmettere un'eredità, di questi tempi, difficile, basterebbe ogni tanto ricevere conferme indirette attraverso articoli come i tuoi, al di là di tutte le altre considerazioni. Invece di fronte al tuo approccio così serenamente poetico, così a-problematico e positivo, tu ottieni il risultato, non so quanto pensato a priori, di favorire l'avvicinarsi o il ri-avvicinarsi al calcio anche di coloro che non condividono con me quell'assunto iniziale.
Ottieni il riscatto di/per quella parte di appassionati, i disillusi, i frustrati, gli stanchi, cui il ricordare coi tuoi pezzi cos'è o cosa dovrebbe essere lo sport, e parliamo dello sport più bello e più difficile al mondo, determina un effetto opposto al placebo: curare davvero una malattia, una malattia che non sanno di avere. La perdita dell'innocenza, della componente infantile, del ricordo di cosa è semplice e meraviglioso: confrontarsi con gli altri non per farli soccombere, ma per il semplice gusto del gioco, del miglioramento di sé, della condivisione con compagni ed avversari di una magia.
Ti volevo ringraziare, perché credo che il tuo lavoro sia giusto, e come tutte le cose giuste pagherà, ma solo in tempi lunghi.
- Monleone
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