Bocchino, pretoriano di Gianfranco fa il tira e molla con le dimissioni

Bocchino, pretoriano di Gianfranco fa il tira e molla con le dimissioni

Roma - Abdico o no? Italo Bocchino congela l’addio. Le sue dimissioni da vicecapogruppo del Pdl, annunciate tramite Corriere della Sera due giorni fa, ieri sono rimaste nel freezer. La lettera non è mai pervenuta al presidente dei deputati Pdl, anche se la stessa potrebbe piombare sul tavolo di Fabrizio Cicchitto già in queste ore.
L’ipotesi di un suo passo indietro è motivata dal fatto che negli ultimi tempi Bocchino è stato uno dei megafoni più aspri delle contestazioni del presidente della Camera. Il fatto che lo stesso Berlusconi, in occasione del grande scontro durante la direzione nazionale del Pdl, lo abbia additato assieme a Urso e Raisi come colui che «ha esposto il partito a pubblico ludibrio in tv», lo ha ufficialmente bollato come «falco». In effetti Bocchino, nell’ambito del duello Berlusconi-Fini ha avuto un ruolo incendiario: è stato lui a minacciare la creazione di gruppi autonomi, è stato lui ad accendere la miccia della rissa in tv con Maurizio Lupi, è stato lui a insistere sul tasto della gestione monarchica del partito, lui a lanciare «Generazione Italia» con una veste smaccatamente anti-pidiellina, tanto da irritare perfino lo stesso Fini.

La sua sovraesposizione politica e mediatica ha dato fastidio a molti, perfino nelle file delle truppe più vicine al presidente della Camera. La settimana scorsa a Montecitorio, per esempio, Bocchino era stato investito dalle critiche del finiano sottosegretario all’Ambiente Roberto Menia: «Hai già fatto abbastanza danni, sono stufo delle tue uscite e delle tue iniziative». Ancora più duro l’onorevole Amedeo Laboccetta che ieri graffiava: «La smetta di atteggiarsi a leader politico e poi le dimissioni non si annunciano: si danno o non si danno». E ancora: «Bocchino è un soggetto di rottura, lacerante, e la sua conduzione di questa vicenda è stata fallimentare: al posto suo mi sarei dimesso sul serio, non con quella lettera di finte dimissioni». Laboccetta gli ha pure scritto nero su bianco: «Continui a pontificare con spocchiosa saccenteria attraverso gli schermi televisivi e con le tue dichiarazioni ai giornali, spingi, come un bulldozer, verso la nascita di una vera e propria corrente organizzata di opposizione in seno alla maggioranza». Sotto assedio.
In mattinata è pure ventilata l’ipotesi che le dimissioni di Bocchino da vicecapogruppo avrebbero causato anche l’esonero del capo, Cicchitto, in nome di una clausola del regolamento del Pdl. Tesi, questa, priva di fondamento. Ma nel giorno in cui la linea ufficiale di Fini è quella di minimizzare lo scontro con Berlusconi, l’affaire Bocchino acquista un valore politico in più.

Se da un lato è stato sconfitto il «bocchinismo», dall’altro sarebbe rischioso andare a un voto sui pro e contro. Si tratterebbe di un’ennesima conta interna al Pdl il cui esito, ancora una volta, dimostrerebbe l’esiguità dei numeri del pretoriano di ferro di Fini.

Non solo: le dimissioni sarebbero viste come un elemento in più verso lo strappo. Una rottura assolutamente da evitare, come emerso dalla riunione dei finiani di ieri. E questo sebbene Bocchino «è inviso al 90% dei parlamentari Pdl», assicura l’ex An Edmondo Cirielli.

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