La bomba atomica è davvero terribile Ma non per le radiazioni

Caro Granzotto, non me ne voglia se, semel in vita, dissento da lei. Come ha potuto Tsuttomu Yamaguchi sopravvivere a due bombe atomiche? Era l’unico a indossare la maglietta della salute?
e-mail

Mi sembra proprio che anche lei, caro Garberoglio, sia vittima di un preconcetto. Si consoli: non è il solo. Vede, la bomba atomica era una bomba, anche se di portata enormemente superiore a quelle convenzionali. Efficacia e relativa leggerezza dipendevano dal carico esplosivo: non rappresentato da quindicimila tonnellate di tritolo (l’equivalente dei 15 chilotoni di potenza dell’atomica), ma da 64 chili di uranio arricchito. Dove cadeva la bomba, dunque, faceva un gran botto: nella città di Hiroshima, che contava 260mila abitanti, ne uccise circa 80mila. Grosso modo lo stesso numero di vittime fece la seconda bomba, quella destinata a Nagasaki. Sono numeri impressionanti, ma tenga pur conto che nella guerra del Pacifico gli americani avevano già perso 400mila uomini. 70mila solo per la conquista di Okinawa. Lei dirà che erano soldati, non civili. Giusto. Allora parliamo della Battaglia di Berlino: sotto il fuoco delle armi dell’Armata Rossa vi persero la vita 152mila civili. Sono morti meglio, più felici, più contenti dei 160mila di Hiroshima e Nagasaki? Questa la realtà dei fatti. Il pregiudizio, molto ben radicato, vuole invece che là dove esplode, l’atomica fa terra bruciata per centinaia se non migliaia di chilometri lasciando intere regioni senza vita alcuna per qualche secolo, se va bene. Che cioè non sia, come per gli ordigni convenzionali, l’esplosione a uccidere. Ma qualcosa che si diffonde nell'aria a macchia d’olio, invisibile, silenziosa e letale: il fall out, le radiazioni. Le cose non stanno così, caro Garberoglio, ed è con il loro non stare così che si spiega l’incredibile avventura di Tsutomu Yamaguchi. Era un progettista dei cantieri di Nagasaki e quel 6 agosto del ’45 si trovava a Hiroshima per lavoro. La bomba lo colse mentre stava scendendo dal tram. Pur trovandosi lontano dall’epicentro (da dove nessuno esce vivo), l’esplosione lo scagliò a terra, assordandolo, mentre Il calore gli procurava ustioni alle mani e a un braccio. Fattosi medicare, prese il treno e il 9 era già a casa, a Nagasaki. Poco dopo le undici di quello stesso giorno venne investito e scagliato a terra dall’esplosione della seconda bomba. In entrambe le circostanze Tsutomu Yamaguchi si trovò entro il raggio di tre chilometri dall’epicentro dell’esplosione. Oltre il quale il governo giapponese, a guerra terminata, non riconosceva il titolo di «hibakusha», ovvero di sopravvissuto alla bomba atomica. Questo le dovrebbe dire qualcosa, caro Garberoglio: a giudizio di chi poté suo malgrado verificare in corpore vili, oltre quei tre chilometri l’effetto della bomba risultava nullo o quasi. E dentro quel raggio, ciò che seminò la morte fu massimamente l’esplosione. Le radiazioni provocarono decessi successivi specie tra i feriti più gravi (si parla di ustioni profonde sulla totalità del corpo). Tanto che il nostro Tsutomu Yamaguchi, che per due volte di seguito ne fu esposto, campò fino al 4 gennaio del 2010. L’unica conseguenza del suo essere «hibakusha» si limitò alla parziale sordità a un orecchio. Fu fortunato, in quell’estate del 1945? Sicuramente sì. Il suo dio gli tese una mano sopra la testa? Molto probabile.

Avrebbe potuto anche diventare un eroe popolare se le autorità e la stampa giapponese e internazionale non l’avessero condannato all’oblio. Capirà, caro Garberoglio, era la testimonianza vivente della mendacia del preconcetto sul nucleare, bellico dapprima, civile in seguito, che tuttora tiene banco.
Paolo Granzotto

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica