Bomba contro gli italiani ucciso un alpino a Kabul

Fausto Biloslavo

«Hanno intasato un canale di scolo con esplosivo e fatto saltare il manto stradale al passaggio del nostro mezzo. Si è trattato della solita azione vigliacca, comandata a distanza, come la strage di Capaci». Il colonnello Mario Giacobbi, comandante del II reggimento alpini di Cuneo, impegnato in Afghanistan, racconta così l’attentato di ieri a una pattuglia italiana nel quale ha perso la vita il caporal maggiore Giorgio Langella e dove sono rimasti gravemente feriti due militari.
Verso le 8 del mattino, le 5.30 in Italia, un convoglio di tre veicoli blindati leggeri Puma, ognuno con sei alpini della 21° compagnia «La bella», stava svolgendo un normale servizio di pattuglia a sud di Kabul. Gli alpini del «Battle group 3» percorrevano la principale strada asfaltata da Kabul verso la provincia di Logwar, zona a maggioranza pashtun. A 10 chilometri dalla capitale, nel famigerato distretto di Chahar Asyab, i terroristi stavano aspettando. «L’esplosione, attivata a distanza, ha lanciato in aria il terzo veicolo. L’onda d’urto - racconta da Kabul il comandante Giacobbi ­ ha sbalzato fuori i ragazzi. Il povero Langella, che stava all’esterno, sulla botola, ha fatto un volo ancora più lungo e purtroppo è morto».
Il Puma è finito con le ruote all’aria, in mezzo alla strada e altri due alpini sono rimasti gravemente feriti. Il maresciallo Francesco Cirmi, 30 anni, di Bologna, ha riportato un trauma facciale, mentre il caporalmaggiore Vincenzo Cardella, classe 1982, originario della provincia di Caserta, ha subìto lesioni alle gambe. Salvatore Coppola e Salvatore Belfiore, gli altri alpini che facevano parte dell’equipaggio sono rimasti feriti lievemente, assieme al caporale Pamela Rendina, napoletana di 24 anni, la prima donna soldato dell’esercito colpita. Dietro al Puma c’era un taxi, investito in parte dall’esplosione. Un bambino che si trovava sul veicolo è morto, altri cinque afghani, compreso un passante, sono rimasti feriti.
«I ragazzi degli altri mezzi hanno subito cinturato l’area per garantire la sicurezza e i soccorsi ai feriti ­ racconta l’ufficiale alpino ­. Per quelli più gravi sono arrivati gli elicotteri dell’aeronautica militare decollati dall’aeroporto di Kabul, che hanno portato i feriti all’ospedale da campo francese, dove Cirmi e Cardella sono stati operati: non versano in pericolo di vita. I feriti più lievi sono sotto osservazione. La salma di Langella è stata elitrasportata nel pomeriggio a Camp Invicta, sede di Italfor, il contingente italiano della missione Nato in Afghanistan (Isaf) che vede impegnati 1983 soldati italiani.
Per l’alpino caduto è stato officiato il rito religioso alla presenza dei suoi commilitoni e dell’ambasciatore italiano a Kabul. Questa mattina il feretro verrà imbarcato su un C 130 dell’aeronautica militare che lo riporterà in patria. Il colonnello Giacobbi ha compiuto 50 anni in Afghanistan: gli pesano tutti tenendo conto che, appena arrivato, a maggio, ha perso due alpini in un primo attentato, nella Musay valley, con una tecnica analoga.
L’attacco di ieri è avvenuto nella zona di Chahar Asyab, un feudo dell’Hezb i Islami di Gulbuddin Hekmatyar, signore della guerra afghano alleato dei talebani e di Al Qaida. Durante la guerra civile dei primi anni Novanta il villaggio di Chahar Asyab era il quartier generale di Hekmatyar. Una decina di giorni fa era trapelata la notizia della sua cattura, ma in realtà erano stati arrestati nell’Afghanistan orientale importanti comandati dell’Hezb i Islami.
I talebani hanno rivendicato la paternità dell’attentato con un comunicato: «Questa mattina (ieri per chi legge, ndr) i mujaheddin dell’Emirato islamico dell’Afghanistan hanno fatto saltare in aria un mezzo delle forze occupanti dell’Isaf con una bomba telecomandata». «Il settore è di competenza italiana, ma questa gente colpisce chiunque cerchi di stabilizzare il Paese ­ spiega il colonnello Giacobbi ­. Puntano su obiettivi che diano risalto sulla stampa internazionale. Minano la strada di notte e agiscono al passaggio della prima colonna».
Forse non avevano nel mirino gli italiani, ma lo stesso ufficiale degli alpini ammette che i talebani e i resti di Al Qaida «stanno evolvendo, anche a Kabul, le loro tecniche sia negli attacchi suicidi che per le trappole esplosive». Nei giorni scorsi i servizi afghani hanno scoperto una cellula di terroristi filotalebani all’università della capitale.

Il capo delle cellula, Abdul Rahman, ha confessato di aver organizzato i recenti attacchi dinamitardi e suicidi che hanno colpito Kabul. Fra gli arrestati ci sono due studenti, erano pronti a uccidere facendosi saltare in aria.

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