Bonaparte, ancien régime e tavernello

Egr. Dott. Granzotto, anche se astemio, mi sono idealmente iscritto al club Tavernello in quanto condivido tutte le sue battaglie. Credo che anche lei condivida con me l’antipatia (chiamiamola così) per Napoleone. Vengo al dunque: a Milano ho visitato quello che ora si chiama «Museo dell’800» (già museo d’arte moderno) riaperto di recente dopo il restauro della sua sede. Milanesi e non hanno sempre chiamato quel palazzo Villa Reale; ora è stato ribatezzato Villa Belgioioso Bonaparte: perché ricordare, accanto al nome della famiglia che ha costruito la splendida dimora, anche il nome del tiranno francese? Forse perché ha dormito lì qualche notte? Cosa ha fatto di positivo per noi italiani? Mi sembra di ricordare che ha depredato senza pudore il nostro territorio nazionale! Perché non dà inizio ad una battaglia per eliminare quel Bonaparte?, magari una raccolta di firme da far pervenire al sindaco, credo che si troverebbero molti sostenitori dell’idea.

Voglio subito precisare, caro Bianco, che Napoleone non mi è antipatico. Trovo antipatico, caso mai, Vincenzo Visco. O Mahmud Ahmadinejad. O ancora, e tanto per rispettare la par condicio, Hillary Clinton. Come può essermi antipatico un prodotto della Rivoluzione francese, repubblicana e tagliatrice di teste reali, che mette nel sacco tutti incoronandosi imperatore? Che affranca il gentil sesso dalla volgare sciatteria sanculotta invogliandola ad indossare lo «stile impero», così elegante, così propenso a rivelare soavi decolleté? Che nelle sue ultime volontà non trascura di precisare che numero sei caleçons, mutande, vanno da Marchand, suo premier valet de chambre, assegnate al figlio Francesco Giuseppe Carlo, Re di Roma? Sì, il Bonaparte mi è simpatico, ma ciò non mi impedisce di considerarlo un’iradiddio e di non farmi incantare dai «rai fulminei» e da tutta la retorica napoleonica. Che però a quanto pare continua ad incantare - e l’incantamento dura da più di due secoli - i milanesi.
È un fatto che, al di fuori della Francia, nessuna città al mondo come Milano conserva tante testimonianze dell’omaggio a Napoleone. C’è il Foro Bonaparte e una via Montenapoleone, c’è l’arco di trionfo a piazza Sempione chiamato sì «della Pace», ma eretto per salutare in modo degno l’arrivo del Nostro, c’è un monumento al medesimo, quello del Canova nel cortile di Brera, e ci sono sfilze di lapidi commemorative e apologetiche. Non entro nel merito di queste manifestazioni di devozione né, tanto meno, della natura della devozione stessa. Si finirebbe per litigare e io sono di indole mansueta.

Però mi chiedo assieme a lei, caro Bianco, che bisogno c’era, una volta decisi a disfarsi d’ogni traccia del neanche tanto ancien régime e con già tutto quel popò di napoleonitudine in giro, di ribattezzare quella che fu la Villa Reale in Villa Belgiojoso Bonaparte? Perché allora non Villa Belgiojoso Radetzky, visto che il maresciallo vi soggiornò più a lungo del nano di Ajaccio (che vi soggiornò pochissimo, giusto il tempo di dire ai Verri, a Serbelloni e a d’Eril: «Qui comando io, compris?» E loro, sull’attenti: «Oui, oui, compris mon général»).

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