Bondi: Pdl come la Dc di De Gasperi

Il titolare dei Beni culturali: "L’opera più impegnativa inizia dopo il congresso. E Fini avrà un ruolo essenziale. Alle Europee meglio nessun ministro in lista"

Bondi: Pdl come la Dc di De Gasperi

Roma - Ministro Bondi, il Congresso costituente del Pdl s’avvicina. Rimangono però alcune divergenze. Non ci saranno intoppi?
«Il Partito della libertà è nato da tempo. Ora dobbiamo soltanto compiere l’ultimo tratto di strada, per realizzare un progetto storico e riunire tutti i moderati che non si riconoscono nella sinistra».

Differenze dunque conciliabili?
«Il giorno dopo la nascita del Pdl, dal 29 marzo, dobbiamo riprendere un lavoro comune che guardi al futuro, che richiede lo stesso spirito che ci ha animato in questi anni. Forse richiede una dose ancora maggiore di responsabilità e confronto, un lavoro ancora più impegnativo per tutti».

Non è un mistero che lei voglia dedicarsi al partito unico. Ha sciolto il nodo?
«Ho vissuto fin dal 1993 un’avventura politica straordinaria, quasi come una scelta di vita. Ho conosciuto la gioia della vittoria, l’amarezza della sconfitta, la partecipazione alla “lunga traversata nel deserto”... ».

Come dire, pronto a svolgere di nuovo il ruolo di coordinatore.
«È evidente che non mi posso sottrarre ora, se lo vorrà Berlusconi e lo decideranno Fi, An e i partiti co-fondatori».

Alzata di mano o voto segreto per Berlusconi presidente. Interessa davvero agli elettori Pdl?
«No, non può interessare in alcun modo una diatriba che è superata dalla volontà di tutti di voler dare vita a un partito democratico, frutto della migliore esperienza delle forze politiche che contribuiscono alla realizzazione di questo traguardo storico».

Si parla di un ruolo di profilo internazionale per Gianfranco Fini.
«Fini è uno dei leader di questo nuovo partito, indipendentemente dai ruoli istituzionali che momentaneamente riveste. Il suo ruolo politico sarà essenziale sia in Italia che nel Ppe. E io vedo molte analogie tra il nuovo partito che sta nascendo e la Democrazia cristiana del dopoguerra, nel suo periodo migliore, che coincideva con quello degasperiano, quando poteva contare su una classe dirigente numerosa e ricca di personalità di prestigio».

Pd. Senza Veltroni, cosa cambia?
«Quando D’Alema, pochi giorni dopo le dimissioni di Veltroni, afferma che “il peggio è passato”, e che con Franceschini si stanno superando le difficoltà, ho la conferma di una “disumanità” nei rapporti interpersonali, che è diventato il tratto tipico della classe politica originata dal Pci. Ed è forse inevitabile che la leadership del Pd passi definitivamente a un esponente di una tradizione diversa, erede del cattolicesimo democratico. Questo può rappresentare un passo avanti. Non penso perciò che il Pd possa tornare ad avere un segretario, sia pure rispettabile come Bersani, proveniente dalla storia del Pci».

E Franceschini?
«Non credo che il nuovo leader del Pd sarà capace di innovare, come sarebbe necessario, rispetto all’esperienza di Romano Prodi o dello stesso Veltroni. La cifra politica e culturale è la stessa».

Beppe Grillo ha presentato le sue liste civiche.
«Grillo è l’espressione della crisi della sinistra e delle sue pulsioni distruttrici e autodistruttrici».

Amministrative. Intesa solida con il Carroccio?
«È la prima volta che con la Lega si stipula un accordo elettorale generale anche per le elezioni amministrative. Addirittura c’è la disponibilità di un accordo non solo al Nord ma anche al Sud, dove certamente la Lega è meno influente. Ciò significa che ambisce a divenire un movimento politico non più solo territoriale, ma nazionale».

Europee. Ministri candidati?
«Ritengo che i ministri stiano lavorando molto bene e che sia interesse di tutti, del Paese in primo luogo, che essi continuino ad applicarsi alla realizzazione del programma di governo senza essere gettati in prima persona nell’agone della campagna elettorale».

Udc. Allearsi con i centristi?
«Casini ha compiuto una scelta che si può non condividere, ma bisogna riconoscere che ha avuto coraggio e che gli elettori l’hanno comunque premiato, almeno in parte.

Io credo che all’Udc non dobbiamo chiedere di schierarsi da una parte o dall’altra, bensì costruire nel tempo un rapporto preferenziale fondato sulla fiducia e sul rispetto, nell’ambito della comune appartenenza al Ppe».

Referendum. C’è chi vuole accorparli all’«election day», chi spera nell’astensionismo.
«Non bisogna mai scommettere nell’astensionismo, perché significa puntare sulla debolezza della democrazia».

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