Emanuela Ronzitti
da Roma
Il freno a mano tirato da Romano Prodi sullingresso della Turchia, in Europa, dopo londata di sfiducia alla Costituzione Ue incassata nel referendum francese e olandese, ha stampato perplessità sul volto di molti rappresentanti della politica italiana. Eccezion fatta per il partito del Carroccio, che parrebbe non disdegnare lanomalo apparentamento con i ripensamenti prodiani. A non volere proprio digerire il clamoroso dietrofront del professore, è leuroparlamentare Emma Bonino, convinta che non debba essere Ankara a pagare una crisi che il sistema Europa già cova da tempo «sotto la cenere».
Non fa elemosina di toni aspri, quando definisce il volta faccia di Prodi, «una tra le più mediocri vie di fuga», un cambio di senso che contribuisce, ancor più, a far scricchiolare limpalcatura comunitaria. Per far rinfrescare la memoria al «prof» basterebbe tornare allottobre 2004, quando dalla sua bocca uscirono parole incoraggianti sul futuro matrimonio Turchia-Europa, un connubio possibile solo grazie alle riforme messe in atto dal governo di Ankara. Lo ribadì meno di una anno fa, e non sembrò per nulla strano, detto da chi ha sempre fatto «dellallargamento» ai Paesi extracomunitari, la mission del suo programma europeista. «Non so cosa voglia dire Prodi quando parla del rischio Mamma li turchi e del mutamento delle opinioni pubbliche europee - affonda leurodeputato - forse ha cambiato idea lui...». O forse, il nuovo cambio di vedute del neo-euroscettico nasconde, dopo i referendum europei, un suo quasi riposizionamento in quota cattolico-conservatrice. Altro che, paure, diffidenze e incognite espresse con il voto.
«Non credo che la Turchia sia stata così importante nel voto francese - aggiunge la Bonino - lo spauracchio francese è stato quello dellidraulico polacco, non di quello turco». Forse, per recuperare lEuropa bisognerebbe fare unattenta «analisi», per non cadere nel rischio di sbagliare «le terapie». In sostanza, capire a che cosa hanno detto «no» Francia e Olanda.
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