BONOLIS, TENTATIVO RIUSCITO A METÀ

«I l senso della vita... non è in tivù» scrive malinconicamente Massimo Fini nel blog su Internet in cui commenta la propria partecipazione al nuovo programma di Paolo Bonolis (giovedì su Canale 5, ore 23,15) dove si è sentito «come i cavoli a merenda, tra frizzi e lazzi». Non potrebbe esserci critica più esaustiva di questa, specie considerando che proviene da chi rappresentava il fiore all’occhiello della nuova trasmissione. Eppure il tentativo di Bonolis di seminare qua e là riflessioni, inquietudini, sollecitazioni filosofiche e ospiti di spessore all’interno di un programma di intrattenimento va inquadrato al di là delle battute che un titolo così ambizioso si trascina inevitabilmente. Il senso della vita è l’ultimo e più eclatante esempio di un galoppante equivoco televisivo: che «mischiare i generi» sia un’operazione facile. Che per accreditarsi come paladini di una tivù innovativa e rompi-schemi sia sufficiente accostare un comico a un’intervista seria in cui si parla di centri di accoglienza, un po’ di musica «colta» alle freddure di Luca Laurenti, la riedizione aggiornata della vecchia classifica di Cuore sui motivi per cui vale la pena vivere a una manciata di minuti dedicati alla critica al consumismo. In realtà, se è vero che la vita di ciascuno di noi è di per sé una commistione di generi (si ride e si piange e ci si indigna e si sogna in un’alternanza di commedia e tragedia e tanto altro ancora), è altrettanto vero che dare forma espressiva di senso compiuto a tutto ciò è operazione complessa che riesce, non a caso, ai romanzieri e ai cineasti e ai teatranti migliori. In televisione i tentativi di mischiare i generi si ripetono, ma mancando quasi sempre di un filo conduttore organico, di un’idea lucidamente strutturata che non sia solo quella del semplice accostamento tra momenti diversi, lasciano una sensazione di inadeguatezza rispetto alle intenzioni di partenza, come accade ne Il senso della vita. Va dato atto a Bonolis di provarci, a far entrare elementi di «senso» nel flusso televisivo. Gli va riconosciuto un pizzico di sana incoscienza e di coraggiosa intraprendenza. Ma alla fine il sapore che rimane in bocca assomiglia più al retrogusto della banalizzazione che al succo dell’approfondimento. E ci vuole per giunta una buona dose di velleitarismo nel propinare una chilometrica intervista a Michele Placido che non finiva mai.

La si guardava, minuto dopo minuto, con la stessa espressione sgomenta di Monica Vanali di fronte al monologo di Bonolis contro «Er Penombra» durante Serie A. Buon per il conduttore che gli ascolti di questa prima puntata siano stati discreti. Perché altrimenti già si immaginava, fin da giovedì prossimo, qualche intervista sprint di Enrico Mentana.

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