Cultura e Spettacoli

Un bonus fiscale (anche se esiguo) per i cineasti

da Roma

Il ministro Rutelli, reduce da un fitto dialogo con produttori e registi, ne aveva fatto un punto d'orgoglio, promettendo battaglia. Non sarebbe uscito dal Cdm sulla Finanziaria senza ottenere via libera a un mini-pacchetto di provvedimenti in chiave di agevolazioni fiscali. Insomma, un primo assaggio di tax-shelter, mitica misura che Urbani non riuscì mai a strappare a Tremonti. Dunque è in arrivo un bonus fiscale, sotto forma di credito di imposta, per chi produce o distribuisce film. Significa che le imprese del settore potranno usufruire di una detrazione del 15 per cento sugli investimenti, fino a un massimo di 3,5 milioni all'anno. Lo sgravio sale al 40 per cento, fino a un tetto di 1 milione, per l'investitore che non viene dal mondo del cinema, con l'obbligo però di utilizzare l'80 per cento delle risorse sul territorio nazionale.
La «filosofia» dell'intervento, in attesa che la famosa legge cinema Margherita-Ds esca dal guado parlamentare, è chiara, condivisibile: attrarre nuovi capitali, così da ridurre l'entità del finanziamento pubblico, fonte di mille sprechi in passato, e favorire una concorrenza più ancorata al mercato (nella foto in alto uno dei film finanziati dallo Stato, Le rose nel deserto di Monicelli). Del resto, la leva fiscale in materia di cinema funziona benissimo in Francia, Spagna, Irlanda, Olanda, specialmente nel Regno Unito, dove i 176 milioni di euro stanziati per deducibilità di imposta superano i 106 erogati direttamente dall'Uk Film Council.
Spiega Riccardo Tozzi, presidente dell'Unione produttori: «Una cosa buona, che contribuisce a erodere vecchia logiche. Intendiamoci, il provvedimento non aggiunge un vantaggio, semplicemente toglie uno svantaggio». In pratica? «In pratica se io, come Cattleya, produco un film che costa 4 milioni di euro, l'anno successivo potrò detrarre dalle tasse 600 mila euro. Prima non era possibile». Ma c'è un ma. Riguarda il limite imposto dalla Finanziaria, che si aggira sui 30 milioni di euro. Commenta Tozzi: «Se così fosse, una cifra insufficiente, inferiore al potenziale del mercato. E che, per di più, implica anche una distorsione nella gestione. Chi ne approfitterà? Chi arriva per primo? Per ridare fiato all'industria servivano 70-80 milioni di euro, così è poco». Morale? «Applaudiamo al concetto, ma bocciamo la cifra».

Chissà se Rutelli saprà fare il miracolo.

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