Boom di veterinarie L’ordine dice basta: «Servono più maschi»

Salvate il veterinario Woobinda. L'animal doctor del telefilm anni ’70 che nelle vaste distese australiane curava gli animali e li salvava dalle mire dei bracconieri. Si tratta di una specie in via d'estinzione. Basta guardare i dati sui neolaureati lombardi forniti dalla Camera di commercio: sette su dieci sono donne, il 72,1 per cento per la precisione (contro il 68,9% di Medicina e chirurgia e il 77,3% di Farmacia). E la virata verso una professione sempre più in rosa preoccupa non poco i vertici dell'ordine dei veterinari.
A lanciare l'allarme che non ha niente a che fare con pregiudizi sessisti è, manco a dirlo, una donna, la presidente dell'ordine dei veterinari di Milano e Lodi, Carla Bernasconi.
Con una doverosa premessa: «Non ho nulla contro le donne, la sono anche io, anzi mi fa piacere constatare che sanno raggiungere gli obiettivi che si prefiggono, ma siamo di fronte a un cambiamento della professione che non tiene conto delle esigenze sociali».
Le neolaureate in Veterinaria hanno un'unica grande passione, quello di occuparsi degli animali da compagnia, di aprire una clinica e visitare cagnolini, mici e pappagallini e farlo magari part-time quando si sposano e hanno figli. Il 90 per cento dei giovani che si inseriscono nel mercato del lavoro mira a un camice bianco e ad orari di visita.
«Purtroppo rimangono scoperti due grandi settori che competono al veterinario, quello degli allevamenti e l'altro della supervisione alla preparazione alimentare nelle industrie - spiega la presidente Bernasconi -. Qui mancano i veterinari, tanti, e siamo sull'orlo della crisi. Ma queste specializzazioni per le ragazze, è evidente, non hanno alcuna attrattiva».
«Il problema sta a monte - continua Carla Bernasconi -, nei test di ammissione alla facoltà, predisposti ad avvantaggiare soprattutto chi è fresco di studi classici. Abbiamo chiesto all'università di modificare i test. Siamo convinti che così com'è è sbagliata la griglia di accesso e non è attinente con i bisogni professionali. E' necessario tenere conto di un fattore motivazionale che ora non c'è. A 19 anni il rapporto con lo studio fra maschi e femmine è molto diverso, ma così rischiamo di lasciare per strada chi questa professione vorrebbe esercitarla anche nei settori meno colti. Abbiamo figli di allevatori che non riescono a superare l'esame perché a corto di cultura umanistica».
Il problema è anche di garantire ai prossimi laureati una professione. «Il mercato del veterinario degli animali da compagnia è saturo - dice ancora Bernasconi -, la facoltà è nata 20 anni fa per cui non c'è ancora ricambio generazionale.

Queste ragazze rischiano la disoccupazione». I dati non sono confortanti: Veterinaria, secondo i dati della Camera di commercio, è la facoltà più povera con i suoi 1.050 euro al mese medi di stipendio. Un po' poco dopo cinque anni di studio e 51 esami sostenuti.

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