Giacomo Puccini, nell'elegante stanza di una stazione termale mitteleuropea, vede materializzarsi il cieco Timur, padre del principe Calaf della «Turandot» che sta componendo. È in realtà lo scrittore cieco Nino Salvaneschi, che si è intrufolato nella camera del suo idolo, nella clinica di Bruxelles dove sono ricoverati entrambi, alla ricerca del copione della nuova opera. Inizia così «L'osso d'oca» di Giuseppe Manfridi, che debutta in prima assoluta stasera alle 21.15 in piazza S. Agostino a Borgio Verezzi. Lo spettacolo, diretto da Francesco Branchetti, sarà replicato fino a domenica. Tra il compositore (Pino Micol) e il suo fan (Bruno Maccallini) nasce un bizzarro ma intenso rapporto d'amicizia, in cui un Puccini sornione non lesina al compagno burle da indomito toscanaccio, anche approfittando della menomazione di Nino: ecco che l'austera Mutter Sonia (Paola Gatti), la suora del reparto, diventa nientemeno che una maitresse. «In una biografia di Puccini» racconta Giuseppe Manfridi «si accenna alla visita in clinica dello scrittore italiano Nino Salvaneschi, cieco. Da questo spunto è nato, sette anni fa, un atto unico, che mi riproponevo di sviluppare per la scena; conoscere Pino Micol come possibile protagonista mi ha indotto alla stesura definitiva ancora prima che si concretizzasse l'allestimento. E in effetti tra attore e personaggio si è instaurata una rara, profonda adesione spirituale». Continua l'autore: «La commedia non è una rivisitazione della vita di Puccini, ma è incentrata sui suoi ultimi giorni. Che non sono quelli di un vecchio che si sta tristemente spegnendo, ma di un uomo maturo, pieno di vita e all'apice della fama. Il perno dell'azione è nel titolo: alcuni anni prima, nel corso di una scorribanda in auto in bassa Baviera, Puccini ingoiò un osso d'oca, che fu estratto con un rozzo intervento chirurgico sul tavolaccio dell'osteria. La ferita degenerò in tumore, a causa della nicotina; e il musicista, senza sospettare la gravità del male, decise di operarsi alla gola.
Segni del destino, coincidenze: non ne mancano affatto nell'incontro tra il drammaturgo romano e la Liguria. «Giacomo, il prepotente», testo dedicato a un altro grande artista, Giacomo Leopardi, andò in scena al Duse di Genova nel '89; e il primo incontro con Borgio Verezzi fu nel '92 con «Corpo d'altri», sempre tra cecità e fumo. Originale la soluzione musicale dello spettacolo: «Sarebbe stato insensato non inserire arie pucciniane, pur con parsimonia ed evitando scelte scontate: ecco quindi i due protagonisti ascoltare le incisioni operistiche dal fonografo a tromba, rievocare "i grandi dolori di piccole anime" delle partiture di Puccini, le creature effimere come le volute di fumo del suo sigaro.
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