Era uno degli ultimi grandi talenti eclettici. Quei cervelli che è difficile incasellare, che riescono a trasformare conoscenza e cultura in strumenti duttili, strumenti che possono essere utilizzati con eguale naturalezza nellagone politico, nella trattativa diplomatica, nella letteratura o nel giornalismo più asciutto e aderente alla notizia. Boris Biancheri è morto ieri notte, nella clinica Villa Margherita di Roma, alletà di ottantanni. E in questi otto decenni ha svolto un numero incredibile di incarichi diplomatici, da analista politico. Nella sua carriera, iniziata nel 1956, ha viaggiato il mondo in lungo e in largo, reggendo tra laltro le ambasciate di Tokyo, Londra e Washington. Alla Farnesina ha poi ricoperto il ruolo di direttore generale del Personale, degli Affari Politici e poi di Segretario Generale dal 1995 al 1997. In seguito è diventato presidente dellIspi. E questa sarebbe già di per sé una vita di lavoro densa e di altro profilo. Ma Biancheri è stato anche presidente dellAnsa e tra il 2004 e il 2008 ha guidato anche la Fieg, lassociazione degli editori, e la sua attività giornalistica lo ha visto fra i più prestigiosi editorialisti de La Stampa.
Proprio a partire dal giornalismo si può apprezzare la terza «vena» culturale di Biancheri. Quella legata alla letteratura pura, al gusto della scrittura. Classe 1930, figlio del diplomatico Augusto Biancheri Chiappori e della baronessa Olga Wolff von Stomerse, era nipote acquisito di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Uno dei suoi primi libri di narrativa è stato dedicato allo zio: Lambra del Baltico. Carteggio immaginario con Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Lultimo, Elogio del silenzio, è stato pubblicato da Feltrinelli lanno scorso. È la storia di Felix, un ragazzo dotato di memoria prodigiosa.
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