Un capitombolo di Borsa del 23,8%, il 7% del capitale passato di mano e quasi 1,5 miliardi di capitalizzazione andati in fumo. L’accoglienza del mercato è stata a dir poco brusca nel giorno successivo la pubblicazione di «Liberi di correre», il primo piano industriale di Tim che sconta la vendita della rete. «Valuteremo la situazione», ha osservato Pietro Labriola, l’amministratore delegato, a chi in conferenza stampa chiedeva conto delle manovre che hanno mandato a picco il titolo, «anche per capire questi volumi così anomali». Certo, «qualche aspetto del piano può essere spiegato meglio», ma verranno analizzati i volumi degli scambi «anche con i nostri advisor e faremo le nostre valutazioni». Appare evidente, infatti, che al di là di aspetti del nuovo piano che possono essere stati poco compresi, sul titolo si è scatenato un attacco senza precedenti da parte dei fondi speculativi, che hanno colto l’occasione per mettere in atto una manovra ribassista molto sospetta. Un tale crollo arriva peraltro nell’imminenza di un altro importante appuntamento: il prossimo 23 aprile l’assemblea dei soci sarà chiamata a rinnovare i vertici aziendali, con un candidato - il ceo Labriola - che ha avviato la vendita delle rete al fondo Kkr contro il parere di di Vivendi, cui fa capo il 23,7% di Tim. L’idea, diffusa in alcune sale operative, è che la voragine sul titolo sia stata aperta da un massiccio ordine di vendita nell’ultimo scorcio di seduta, forse con la regia del socio francese intenzionato a stoppare la vendita della rete a ogni costo. Ipotesi da dimostrare, ovviamente, sebbene ieri Vivendi abbia comunicato di aver svalutato per 1,34 miliardi la sua partecipazione. In vista dell’assemblea, il socio francese dovrà dire la sua e potrebbe anche presentare una sua lista. Da notare, però, come mercoledì il piano senza la rete sia stato approvato dal cda di Tim all’unanimità, compresi i tre consiglieri vicini a Vivendi che a novembre avevano votato contro lo scorporo.
L’azienda intanto assicura che farà di più sul piano comunicativo: «I tasselli ci sono, dobbiamo capire cosa non è stato compreso», ha detto ancora Labriola, «il lavoro sembra non essere stato capito per l’effettivo valore». Del resto, già alle prime ore del mattino gli analisti di Bank of America, dopo aver apprezzato i contenuti del piano confermando il «buy», hanno osservato che «manca una guida al debito netto/flusso di cassa: Tim dichiara proventi attesi di 14,2 miliardi di euro dalla vendita di NetCo, ma non fornisce alcun debito netto iniziale, solo un obiettivo di leva finanziaria per il 2026 di 1,6-1,7x». Gli analisti ritengono che ciò «sia dovuto al consolidamento in corso di NetCo fino al primo semestre». Infatti, come spiegherà poi Labriola in conferenza stampa coi giornalisti, «il closing dovrebbe arrivare a giugno»; è chiaro però che fino ad allora Tim rimarrà integrata con la rete «e noi continueramo a pagare gli interessi su tutto il debito». Gli altri aspetti del piano sono una crescita dei ricavi del 3% annuo al 2026 e dei margini operativi after lease dell’8% annuo fino al 2026.
«Dal punto di vista pratico avremo un’azienda con leverage di 1,6», ossia migliore di molti altri attori del settore, «che torna a generare cassa a livello domestico già dal 2025, ci sono possibilità di migliorare anche per la remunerazione degli azionisti», ha spiegato Labriola. Quindi, la prospettiva è anche quella di un ritorno alla cedola. Continuano, infine, i colloqui per la cessione di Sparkle: «Spero di poter dare indicazioni precise nelle prossime settimane».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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