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Public company addio in Piazza Affari

Il voto maggiorato rafforza i soci storici. E alza un argine all'attacco dei gruppi stranieri

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Il nuovo Ddl Capitali si prepara a cambiare il volto di Piazza Affari. Già si conosceva la svolta sul voto maggiorato, la novità più significativa però è che questo istituto varrà anche per le società già quotate. A seguito di una modifica dello statuto da fare in assemblea straordinaria, i soci di lungo corso potranno arrivare a decuplicare il proprio peso in assemblea, un poderoso grimaldello che, nei prossimi anni, può ridimensionare non poco l'influenza dei manager che ancora oggi in alcuni casi determinano i destini di grandi società quotate come, per esempio, Generali e Mediobanca. Con il testo licenziato dalla Commissione Finanze del Senato, «viene meno il principio di un'azione un voto e si rafforzano gli azionisti di lungo corso, dando loro la capacità di incidere maggiormente sulle politiche della società», è il commento di Gianluigi Gugliotta, segretario generale di Assosim, l'associazione degli intermediari dei mercati finanziari. La nuova formulazione permette di raddoppiare il peso dei voti di coloro che detengano le azioni per almeno due anni. Inoltre, a ogni anno che passa gli statuti possono disporre l'attribuzione di un ulteriore diritto di voto fino a un massimo di dieci.

In questa fase, però, i soci in disaccordo possono esercitare il diritto di recesso: in sostanza, avranno la possibilità di liquidare le loro azioni al prezzo di mercato. «In Italia abbiamo molte famiglie, a capo di piccole e medie imprese, che non si quotano per paura di perdere il controllo della società», prosegue Gugliotta, «la riforma del voto maggiorato ci avvicina agli standard internazionali, contribuendo pertanto a contenere il fenomeno del trasferimento all'estero della sede delle nostre società». In seconda battuta, «può essere funzionale anche alla difesa dell'italianità da mire straniere». La modifiche degli statuti dovranno essere in vigore entro la prima assemblea del 2025. Il Ddl capitali, però, disciplina anche un altro aspetto significativo: la presentazione della lista del cda, che dovrà avere l'appoggio di non meno di due terzi del board uscente per essere presentata e dovrà proporre un numero di candidati pari al numero di posti eleggibili, maggiorato di un terzo. I posti in cda dovranno poi essere distribuiti in maniera proporzionale per le liste che superino il 20% di voti in assemblea. «Su questo punto avremmo preferito un intervento che lasciasse più libertà statutaria alle società», ma «auspichiamo che si possa intervenire in tal senso con la riforma del Testo unico finanziario (Tuf), che potrebbe entrare in vigore prima del Ddl capitali».

Riguardo alla modifica del Tuf, ieri in Commissione è stato votato un emendamento che concede al governo una delega di dodici mesi per rivederlo. Toccherà altri temi come le parti correlate e, di fatto, completerà la riforma del nostro mercato borsistico. Non è passata l'estensione a 18 mesi del tempo per esercitare la delega. Il Ddl capitali, che porta il limite dell'attivo per le banche popolari da 8 a 16 miliardi, sarà votato dopo che la Commissione Affari Costituzionali avrà espresso i suoi pareri.

Il provvedimento potrebbe raggiungere l'aula del Senato entro ottobre o, al massimo, di pari passo con la discussione della Manovra.

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