Economia

Le Borse alla prova di tassi e caro-petrolio

da Milano

La settimana che ha preceduto la Pasqua ha chiuso in rosso su tutti principali mercati. Con l’eccezione di Londra, che è rimasta praticamente invariata, le Borse hanno fatto segnare cali praticamente ovunque. Il record se lo aggiudica Tokio (-1,88%), al secondo e terzo posto Madrid (-1,75%) e Milano (-1,47%).
In qualche caso, certo, ci sono spiegazioni locali: a Tokio il listino potrebbe semplicemente aver ripreso fiato dopo una corsa folle (+49% negli ultimi 12 mesi) e in Italia hanno pesato le incertezze legate all’esito delle elezioni. Ma nelle ultime tre settimane è la seconda volta che le piazze finanziarie internazionali hanno mostrato un generale arretramento. E per di più lo «stop» è sembrato legarsi a due eventi da sempre di cattivo auspicio per i mercati: l’aumento del prezzo del petrolio, arrivato ormai a 70 dollari; un progressivo e generalizzato aumento dei tassi di interesse.
Tanto è bastato per far parlare di nervosismo in Borsa e di una «correzione» ormai prossima. Timori giustificati anche da uno sguardo rivolto al recente passato: dopo il crollo della bolla speculativa e i minimi del 2003, da tre anni esatti le quotazioni non fanno che muoversi verso l’alto. L’ultimo lungo periodo di rialzi continuati aveva portato all’«esuberanza irrazionale» dei listini alla fine degli anni Novanta e a un crollo che ha lasciato dolorosi ricordi nei portafogli di molti investitori.
In realtà la maggior parte di analisti e osservatori (vedi anche l’intervista a fianco) non sembra condividere paure eccessive. I tassi, si dice, si limitano a riflettere la crescita dell’economia e restano decisamente bassi se confrontati con le medie del passato. Quanto al petrolio per il momento l’aumento dei prezzi ha avuto impatti limitati sul fronte dell’inflazione. A sostenere gli ottimisti è soprattutto un elemento: le aziende continuano a fare utili e la loro marcia non sembra rallentare. Da questo punto di vista la prova del nove si avrà dopo Pasqua. Le aziende americane, tradizionalmente più veloci di quelle europee nel presentare i propri risultati, renderanno noti i conti del primo trimestre con le previsioni per l’anno. È la cosiddetta «earning season», la stagione degli utili aziendali, un paio di settimane che termineranno all’inizio di maggio. A parlare saranno i grandi colossi dell’economia Usa, quelli con fatturati che assomigliano ai bilanci di un medio Paese europeo.
Solo più tardi sarà la volta delle aziende europee. Se come molti prevedono non ci saranno cattive sorprese, o se ce ne saranno di positive, i timori di correzione nei corsi borsistici potrebbero svanire da un giorno all’altro.

E i ribassi potrebbero essere semplicemente l’occasione per qualche acquisto a buon mercato.

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