RomaNiente rose e fiori, a Villa San Martino. Favoleggia chi insiste sulla storiella dei sorrisi e delle pacche sulle spalle. Non è andata proprio così. Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, tanto per capirci, non siglano la pace. Certo, si sono confrontati dal vivo, e questo è un passo avanti. Ma i nodi da sciogliere rimangono lì, sul tappeto. Semmai, i due firmano una tregua armata. A media o lunga distanza si vedrà.
Con buona pace di Umberto Bossi e Roberto Calderoli, presenti al vertice di Arcore - forse ospiti non troppo graditi dal padrone di casa e unici ad aprire bocca dinanzi a taccuini e telecamere - lesti a spargere miele sospetto a ogni passo. È «tutto risolto», «siamo una stessa famiglia» ed è «inutile dare spazio a chi fa casino e basta», attacca il Senatùr. Insomma, «va tutto bene nella maggioranza e il governo è solido». Ma non solo: «Finché sono vivo io, problemi con Tremonti non ce ne saranno». Tradotto: il ministro dellEconomia «non se ne va», la «pacificazione» tra i due è dietro langolo.
Ma se il titolare di Via XX Settembre non lascia, è pure vero che non raddoppia. Cioè, dimissioni scongiurate, ma niente via libera dal Cavaliere alla richiesta (che rimane però ancora in ballo) di vicepresidenza del Consiglio. Ruolo supplementare che lo avrebbe messo maggiormente al riparo dal fuoco amico, avviato negli ultimi mesi dai colleghi di governo, stanchi di sentirsi di continuo rispondere «no». Motivo per cui il premier - sotto sotto un po irritato per laccerchiamento leghista, visto che avrebbe preferito un faccia a faccia senza accompagnatori - invita Tremonti a garantire maggiore collegialità nelle scelte, coinvolgendo di più il resto della squadra. Con un faro guida: la linea impostata nel programma elettorale.
Detto questo, siamo sicuri che le tensioni siano solo opera dei «pasticcioni» pidiellini a cui accenna Bossi? Non proprio, se si prova a sentire chi un tempo era di casa a via della Scrofa. Ma se gli ex aennini sbuffano, dinanzi a quella che considerano una «continua ingerenza» del Carroccio nella maggioranza, il Senatùr rilancia. «Nei partiti - rintuzza il ministro per le Riforme - ci sono persone invidiose». Ovvero, «cè gente che vuole spendere, perché pensa che solo facendo così si viene rieletti. Invece, la gente ti elegge solo se ha stima di te. E ora non si può spendere, perché lEuropa ci uccide».
Si torna così a bomba. Al motivo scatenante del dissidio interno al Pdl, tra chi tiene i cordoni della borsa e chi avrebbe bisogno di risorse per finanziare progetti e provvedimenti. E alla querelle sul taglio dellIrap, annunciato da Gianni Letta (ieri collegato a lungo, via telefono, nel corso del vertice) su indicazione del premier. Una mossa che avrebbe fatto inalberare non poco Tremonti, sentitosi scavalcato.
Su questo punto, Bossi prova un po a forzare, sposando la causa di Tremonti. E il leader del Carroccio spiega: «Col tempo sì», si andrà alla riduzione dellimposta. Dal canto suo, Paolo Bonaiuti chiarisce per tutti che «lobiettivo della riduzione dellIrap è nel programma di governo» e «sarà realizzato quando sarà definita la sua copertura, senza provocare aumenti di deficit e di debito pubblico». Comunque sia, aggiunge Calderoli, «non cè trippa per gatti». Nel senso che «nel governo cè un clima costruttivo» e le «idee sono molto chiare». Come dire: «Cè lucidità e chiarezza rispetto agli obiettivi e credo che questa sia la cosa principale».
Obiettivi comuni, dunque, in vista del delicato passaggio della Finanziaria in Parlamento. Paletto su cui spinge non poco il Cavaliere. Un po stanco delle ripetute minacce di dimissioni messe sul piatto da Tremonti, ma consapevole, allo stesso tempo, di non potersi permettere un abbandono così pesante. Berlusconi, quindi, tenta di gestire il delicato momento con circospezione. Ascolta tutti, pure i ministri che in giornata, prima e dopo il vertice di Arcore, gli spiattellano al telefono i motivi dattrito con Tremonti, nella speranza di accontentare un po tutti. E prova a mantenere i nervi saldi, in attesa che si trovi definitivamente lintesa sulle candidature per le Regionali.
Un altro fronte ancora aperto, su cui Bossi fa orecchie da mercante: «È tutto a posto», il Veneto andrà «per forza» alla Lega, mentre per il Piemonte «deve entrare anche Fini nella discussione». In realtà, più che di chiusura del cerchio, si dovrebbe parlare dellennesima mossa tattica del Senatùr. Non a caso, sul Veneto, non si fa attendere la replica del coordinatore regionale del Pdl, Alberto Giorgetti: «Mi auguro che i nostri leader non diano una delusione così cocente agli elettori che votano per noi dal 1994 e che sono qui maggioranza relativa». Fa sentire la sua voce pure Giancarlo Galan, il governatore, che non ci sta a mollare: «Cè da sottolineare una diversità tra quanto detto da Bossi e Calderoli».
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