Adalberto Signore
da Roma
Ci ha sperato fino alla fine Umberto Bossi. Predicando «calma e cautela» a chi gli stava intorno mentre una dopo laltra arrivavano impietose le proiezioni sullesito del referendum. Poi, mentre la forbice tra i «no» e i «sì» andava via via allargandosi, alla fiducia è lentamente subentrata la delusione. E uno sfogo. Perché, dice, «abbiamo buttato cinque anni per dare a tutto il Paese lopportunità di una svolta epocale e gli italiani hanno deciso di fregarsene». E ancora: «Solo il Nord ci ha seguito, solo la Padania ha capito. Viene quasi voglia di buttare tutto allaria...».
E le parole del Senatùr non sono altro che il termometro di un partito deluso, ottimista fino a ieri pomeriggio visti gli alti dati sullaffluenza e improvvisamente preda del «vento del Sud». Perché il dato finale è inappellabile con i «no» al 61,4 per cento e i «sì» fermi al 38,6, ben oltre le più cupe previsioni. Anche se, spiega Bossi, «sopra il Po vinciamo noi». Con unaffermazione netta in Lombardia (54,6 per cento di «sì») e Veneto (55,3), ma con i «no» che hanno prevalso in Piemonte (56,6) e Friuli Venezia Giulia (50,8). Insomma, «anche se a maggioranza ha votato sì la parte avanzata del Paese» mentre «ha detto no chi crede nellassistenzialismo», ammette il leader del Carroccio, «fa un po tristezza vedere questo Nord...». Poi, messa da parte la delusione, assicura che «comunque si va avanti». «Anche scozzesi, gallesi e catalani - dice - hanno tentato più volte. Tenteremo ancora, forse la gente ha bisogno di maturare». Anche se, spiega ai suoi nel lungo pomeriggio passato a via Bellerio, «di tempo ce ne vorrà molto» perché «unoccasione come quella che gli abbiamo dato con il referendum non si ripresenta mica ogni anno». E anche sulle aperture al dialogo di Romano Prodi sembra avere più duna perplessità perché «si infrangono contro le contraddizioni della sua maggioranza».
La Lega, intanto, inizia a interrogarsi sul suo futuro, a partire dallalleanza con la Casa delle libertà per arrivare alla sua stessa ragione dessere. Perché, è ovvio, con la vittoria del «no» riprende fiato quella parte della base (seppure minoritaria) che da tempo chiede una svolta movimentista, con tanto di azzeramento della classe dirigente. Punto, questultimo, su cui Bossi è però categorico. «Io non mollo - spiega in un colloquio con il direttore della Padania Gianluigi Paragone - e non accetto le dimissioni di nessuno. I generali devono rimanere fermi sulle loro gambe». Della strategia futura della Lega, invece, si inizierà a parlare già nei prossimi giorni in un Consiglio federale ad hoc. Perché, spiega il presidente del Carroccio Angelo Alessandri, «dopo cinque anni di governo lesigenza di tornare alle origini cè ed è forte». «A caldo - dice - vien voglia di lasciare al suo destino quella parte del Paese dove il messaggio federalista non è passato. Poi, uno ci dorme su e ragiona con calma. Vedremo nei prossimi giorni, a decidere saranno la piazza e Bossi». E pure Roberto Cota, segretario piemontese della Lega, vede «apertissima la questione settentrionale» perché il «sì» ha vinto in Lombardia e Veneto ma pure «in tutto il Piemonte orientale» visto che «cinque delle otto province piemontesi si sono espresse a favore del cambiamento». Sulla stessa linea Roberto Calderoli, uno dei padri della riforma. «Certo cè un po di delusione per il risultato, ma - spiega il vicepresidente del Senato - devo dire che sopra il Po ha vinto il sì». Insomma, «cè una parte del Paese che mantiene e una parte che viene mantenuta». E «chi si fa mantenere non ha voluto il cambiamento». Così pure il vicecapogruppo alla Camera Andrea Gibelli: «Hanno votato sì le parti più avanzate del Paese».
Un leitmotiv che - insieme al riferimento di Bossi alla situazione di Scozia, Galles e Spagna - lascia intravedere la possibile strategia su cui sta lavorando la Lega, intenzionata ad aprire una nuova stagione allinsegna dellautonomismo di Lombardia e Veneto («cè un asse lombardo-veneto», ripete non a caso Calderoli) sul modello catalano. Insomma, il Carroccio potrebbe ripartire proprio dallesito del referendum e in nome del successo ottenuto nelle due regioni più produttive del Nord portare avanti una battaglia autonomista sulla scia di quello che ha fatto la Catalogna in Spagna. In questo senso, può essere letto come un indizio leditoriale che firmerà oggi Paragone sulla prima della Padania: «Il Lombardo-Veneto è un Paese a sé». Anche di questo si è parlato ieri sera nella consueta cena del lunedì a Arcore (Bossi era con Calderoli e Giorgetti, più tardi è arrivato anche Emilio Fede).
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