Roma Silenzio. Nei giorni caldi dei correttivi alla manovra più delicata della storia recente del nostro Paese, la Lega ha interrotto le comunicazioni dopo aver comunicato le proprie condizioni con il diktat di lunedì: no al rimaneggiamento del sistema pensionistico, no alla scure sugli enti locali, sì a un giro di vite contro l’evasione fiscale. Poi basta. Nessun altro comunicato da parte di chi pensa di tenere in ostaggio il governo. I vertici di via Bellerio si guardano bene dal tornare sul tema per evitare ogni possibile equivoco e sospetto di apertura all’esecutivo. Gli unici a non aver perso la parola sono esponenti secondari privi di un vero potere di trattativa, a cui è affidato soltanto il compito di abbaiare un po’, ricordando qual è la posta in palio. E se qualcuno dei big apre bocca, come Roberto Calderoli, ministro della Semplificazione, è solo per bacchettare quei bambini viziati dei calciatori.
Il Carroccio, insomma, è parcheggiato in seconda fila con il freno a mano e non si sposta. E che da fuori pensino pure a un partito in confusione mentale e vittima delle divisioni interne. Dall’interno si preferisce stare al finestrino a guardare con diffidenza l’opera di Angelino Alfano, il segretario del Pdl a cui Silvio Berlusconi ha affidato l’ingrata missione di stirare tutte le pieghe della manovra per favorire un rapido decorso in Parlamento che porti all’approvazione del pacchetto entro il 4 settembre e depotenzi in partenza il settembre caldo annunciato dai sindacati. Alfano ha in apparenza un mandato a tutto tondo, che comprende ascoltare le istanze interne al Pdl e alla maggioranza e quelle esterne. Ma è proprio dalla Lega che è lecito attendersi le resistenze maggiori.
Naturalmente quella del Carroccio è una strategia silenziosa ma solo apparentemente attendistica. Certo, prendere tempo fa parte del gioco e da questo punto di vista il silenzio non può che essere d’aiuto. Poi non resta che sperare che l’ambasciatore Angelino fallisca nella sua mission se non impossible quanto meno improbable. Da parte loro Bossi e compagnia non sembrano avere l’intenzione di facilitargli il compito riconoscendolo come interlocutore credibile. E a quel punto tornerebbe in auge la figura del Pdl che più è gradita al Carroccio. Naturalmente stiamo parlando di Giulio Tremonti, ministro dell’Economia e padre della manovra, unico pontiere patentato tra il Pdl e la Lega. In un momento in cui a Pontida si torna ad agitare lo spettro della secessione, si torna a mettere in discussione l’unità d’Italia, si torna insomma a usare tutto il bric-à-brac ideologico che il Carroccio rispolvera nei momenti di difficoltà, il messaggio è chiaro: trattiamo con chi vogliamo noi.
In attesa che il tempo dimostri se questa strategia è vincente, naturalmente la Lega sta pensando anche a come condurre i futuri negoziati.
Perché è chiaro che nessuno il via Bellerio spera davvero di portare a casa il bottino pieno: vale a dire salvare sistema pensionistico ed enti locali. Qualcosa bisognerà mollare per strada e su questo tema entrano in campo le varie anime del Carroccio. Il no a qualsiasi cambiamento del sistema pensionistico rappresenta in questo momento il vero bersaglio grosso, caro soprattutto all’anima più demagogica e diciamo così tradizionalista della Lega. Dall’altro lato invece la tutela degli enti locali è un cavallo di battaglia del «partito dei sindaci» vicino a Roberto Maroni.
Il quale Maroni si trova nella posizione più scomoda in questo momento: malgrado la sua corrente (del quale peraltro lui sornione nega l’esistenza) sia all’interno del partito numericamente maggioritaria, è proprio l’inquilino del Viminale
che potrebbe uscire sconfitto da questa impasse, costretto a rinunciare a qualcosa nella difesa a oltranza di Comuni e Province e anche ad assistere alla riabilitazione di quel Tremonti con cui non corre certo buon sangue.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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