Roma - «L’intervento sulle pensioni...ho le donne che mi fermano e che mi dicono che così non si può.... Speriamo Tremonti cambi idea, altrimenti dobbiamo lasciare il paese alla sinistra ma con i conti in ordine». Prima del vertice sulla manovra tremontiana, Umberto Bossi è ancora quello di via Bellerio, deciso a mettere l’aut aut: o si cambia o «il governo è a rischio». Poi però sembra uscire da Palazzo Grazioli moderatamente soddisfatto, «così così», come indica con le mani. Il «così» positivo è quel che gli interessava di più, cioè la revisione del patto di stabilità nel modo auspicato dalla Lega.
Solo un impegno, ma che permette a Bossi di vantare almeno un risultato, dopo il braccio di ferro con il suo «caro Giulio». «Siamo riusciti ad ottenere la modifica del patto di stabilità per i comuni virtuosi» dice il capo leghista, «a noi interessava questo, innanzitutto, in modo da permettere ai comuni che hanno un sacco di miliardi di poterli spendere». Anche sull’età pensionabile passa una versione soft, così Bossi potrà rispondere qualcosa alle donne che lo fermano. Comunque «il governo rischia fin quando non è passata la manovra» avverte il segretario federale, rimandando a giovedì il bilancio ufficiale di questa partita, fondamentale per la vita dell’esecutivo.
Sempre piccoli bocconi però, nella manovra ci sono ancora tagli pesanti, che mal si conciliano con la promessa di ossigeno per il nord che produce e paga le tasse. Il progetto era un altro, togliere dove non serve, come chiede Flavio Tosi, uno dei sindaci insoddisfatti della cura Tremonti. «Si pensi che il costo complessivo di tutti gli enti locali d’Italia, Regioni comprese, è uguale a quello del sistema dei ministeri. Una cosa inconcepibile, che indica chiaramente dove tagliare. È inammissibile che i ministeri costino come tutto il resto d’Italia». Poi un richiamo a un altro capitolo aperto e non chiuso dal ministro: «Pensi a mantenere la parola data alle Regioni fornendo i 400 milioni per il trasporto pubblico. Sino ad oggi non si è visto un soldo».
Al pre-vertice della sera ci arrivano così, dopo «una riunione serena e costruttiva» spiega il capogruppo Marco Reguzzoni, dove però «non è stata presa nessuna decisione». Sono riusciti a piegare un po’ Tremonti, a fargli capire che non può decidere da solo e che la manovra non può essere solo lacrime e sangue. Il taglio delle tasse? «Non avverrà in questa manovra» avverte il capo della Lega.
La domanda che si rincorre è sullo stato dei rapporti tra Bossi e Tremonti. Circola addirittura un retroscena (che sa di fantapolitica) per cui i due sarebbero d’accordo per un governo tecnico, guidato dal ministro valtellinese, subito dopo l’estate. Questo spiegherebbe perché Tremonti ha ceduto in parte sul versante Lega e poco sul resto. Ma è una delle tante interpretazioni di un momento convulso della legislatura. È vero infatti che Bossi è in linea con il ministro dell’Economia sui rischi di una crisi di governo: «Arrivano i pescecani della finanza e ci fanno fare la fine della Grecia» ripete. C’è sintonia su questo, ma resta la tensione su Tremonti «mani di forbice», come lo chiama scherzando un parlamentare della Lega, segno che il mito di Giulio ultimamente è un po’ appannato tra i padani.
Meglio vanno invece le questioni interne. Calma piatta, tutto è stato congelato per affrontare lo scoglio della manovra in modo compatto. «Non c’è mai stata tempesta con Umberto Bossi, avete esagerato voi e comunque è tutto a posto» dice Maroni ai cronisti. Almeno in superficie è così.
L’«avversario» ora si chiama Tremonti, da cui Maroni aspetta ancora «una risposta alla lettera del maggio scorso in cui chiedevo fondi per un miliardo di euro destinati al ministero dell’Interno». Anche lì calma piatta. Ma non è una buona notizia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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