RomaIl peso delle parole Umberto Bossi lo conosce molto bene. Sa perfettamente che effetti sortiscono, e in quali momenti è bene scagliarle nel dibattito politico. È lora delle riforme, di una Lega meno di piazza e più di governo. Quindi meno folklore, più potere. Il potere reale, in assenza del quale una poltrona politica serve a poco.
«La gente ci dice: prendetevi le banche, e noi lo faremo». Bossi ha lanciato il suo avvertimento ieri mattina alla Camera. Ogni sua uscita in Transatlantico è ormai un evento mediatico, adesso più che nei mesi scorsi. Il leader del Carroccio ha spiegato, fermandosi a parlare con i giornalisti: «È chiaro che le banche più grosse del Nord avranno uomini nostri a ogni livello». È tempo di cambi nelle fondazioni bancarie del Nord. La Lega guida ora due regioni (Piemonte e Veneto), deve contare in fondazioni e banche se vuole governare importanti scelte sulle infrastrutture, e in prospettiva, anche sullExpo 2015 di Milano. Non è solo una questione di spartizione di poltrone: il Carroccio vuole entrare negli ingranaggi della macchina politica ed economica, il sistema di comando, forte della sua «gente», il consenso degli elettori.
Cè più temerarietà nelle parole del Senatùr da quando la Lega ha sbaragliato i concorrenti in alcune zone del Nord e ha sorpreso tutti in Emilia e Toscana. Unaltra delle condizioni poste è che la legge elettorale, per ora, non si tocchi: «La legge elettorale cè già, funziona bene», dice il ministro delle Riforme. Si potrebbe casomai escludere il doppio turno di voto, «anche alle comunali»: «Con il doppio turno la gente non va a votare. Nonostante il voto comunale, ad esempio, attiri i cittadini, il doppio turno gli crea difficoltà. Io toglierei il doppio turno anche alle comunali».
La silenziosa vicinanza con lopposizione sulle riforme, costruita in questi anni dal lavoro sotterraneo di Roberto Calderoli, potrebbe andare in frantumi: «È curioso che Bossi voglia mantenere una legge che il suo stesso estensore (Calderoli, ndr) ha definito porcata», ha reagito Pierluigi Bersani. Tutti i gusti «sono gusti, ma i nostri gusti sono diversi».
Da Bossi sono arrivate parole che forse non ci si aspettava, a sinistra. La minoranza ha posto la riforma del sistema elettorale come primo paletto intorno al quale costruire un possibile dialogo. Ieri anche il presidente del Senato Renato Schifani ha auspicato la presenza di «una larga maggioranza che non può essere soltanto quella dei partiti di governo», nel mettere mano allordinamento dello Stato.
Bossi, da parte sua, non si è mostrato così disponibile: «Se le riforme saranno condivise, lo si vedrà quando andremo in Parlamento». Il Senato, nelle intenzioni della Lega, non sarà comunque meno incisivo, non sarà di serie B: «Schifani non ha detto che non vuole il Senato federale, ha detto che non deve diventare una Camera di seconda serie e non lo sarà».
Pensa alle riforme, adesso, Bossi. E a una domanda sullimmigrazione, in particolare su Gianfranco Fini che chiede più rispetto per gli immigrati, il Senatùr ha risposto convinto: «Bene, bene. È giusto...». Anche queste poche parole sembrano il segno di un nuovo realismo politico.
La «presa» delle banche preoccupa Udc e Pd, che chiedono un intervento del governo. O sono «battute che si perdono nelletere?».
E dunque non sono affatto parole a caso.
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