Bossi spiato, aperta un’inchiesta

RomaUmberto Bossi spiato a Roma. Lo ha rivelato lo stesso ministro delle Riforme nel corso di una chiacchierata notturna con i giornalisti a Ponte di Legno, nel corso della quale ha rivelato il ritrovamento, un paio di mesi fa, di una «cimice» nei suoi uffici al ministero delle Riforme e di varie altre nella sua abitazione romana nella zona di Porta Pia. A trovare le microspie un’azienda privata specializzata in bonifiche ambientali, chiamata dopo che la segretaria di Bossi si era insospettita perché «troppa gente sapeva quello che avevo detto solo a lei», racconta il Senatùr, nemmeno troppo turbato. Bossi avrebbe anche avvertito della vicenda il compagno di partito nonché ministro dell’Interno Roberto Maroni «che ha mandato un po’ dei suoi uomini». Nessuna cimice invece nella residenza varesina del ministro, dove, ironizza Bossi, «ho fucile da caccia e rivoltella».
Chi spiava Bossi? Lui non lo sa, né sembra troppo interessato a saperlo. «Sono scemi, sì. Ma non del tutto», dice riferendosi ai «padroni» delle cimici. Bossi racconta di non aver voluto denunciare il fatto perché «non volevo fare casino, tanto un’inchiesta non trova niente. Io non volevo entrare nel casino, sono uno che tende a minimizzare». L’inchiesta non desiderata da Bossi è stata aperta d’ufficio ieri dal procuratore capitolino Giovanni Ferrara in base alle parole del ministro: il fascicolo processuale, per ora naturalmente contro ignoti, ipotizza due reati: «cognizione, interruzione o impedimento illecito di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche» (articolo 617 del codice penale) e «installazione di apparecchiature atte a intercettare o impedire comunicazioni o conversazione telegrafiche o telefoniche» (617 bis).
Dal momento che c’è chi guarda la luna e chi il dito che la indica, è sulla mancata denuncia che il centrosinistra punta tutto per imbastire l’irrinunciabile polemica. «Se quello raccontato da Bossi è un fatto vero è grave ed è necessario che l’autorità giudiziaria indaghi. Mi dispiace che un ministro in carica non senta il bisogno di denunciare subito un tentativo di intrusione così lesiva ai suoi danni», dice il leader dell’Italia dei valori, Antonio Di Pietro, che aggiunge: «In questo modo Bossi ingenera sfiducia verso la giustizia da parte dei cittadini».

Critiche anche dal Partito democratico: «Siamo molto stupiti che il ministro leghista non abbia voluto rivolgersi, e con la fretta del caso, alle autorità competenti ed abbia invece scelto di denunciare questa vicenda durante una conversazione con i giornalisti», dice il deputato democratico Ettore Rosato.

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