da Roma
Il conto alla rovescia verso il redde rationem sulla legge elettorale procede a ritmo serrato. Mercoledì sarà il giorno della bozza Bianco, con il voto decisivo nella commissione Affari Costituzionali del Senato. Ma le possibilità che questa riforma - sostanzialmente un proporzionale puro con sbarramento al 5% - riesca a passare e ad essere adottata come testo base per la discussione in aula vanno diminuendo giorno dopo giorno. Uno dopo laltro, infatti, i partiti del centrodestra, con la sola eccezione dellUdc, continuano a bombardarla chiedendo di rivoluzionarla in profondità. E di fronte allimpossibilità di arrivare a una mediazione condivisa, dicono con chiarezza che, a questo punto, il referendum rappresenta la strada maestra verso la riforma elettorale.
Lultima cannonata arriva da Umberto Bossi. «La bozza Bianco non va bene e se la legge è questa e il Parlamento non riesce a farne unaltra, allora meglio il referendum» dice il leader della Lega. Un affondo che fa il paio tanto con le parole pronunciate giovedì scorso da Silvio Berlusconi quanto con la preferenza da sempre espressa da Gianfranco Fini a favore della consultazione popolare e che semina paura nel campo del centrosinistra. «Se non si fa una riforma elettorale civile, condivisa, efficace, io penso che il referendum possa portare alla fine anticipata della legislatura» avverte il vicepremier Francesco Rutelli. «Il referendum è sbagliatissimo perché consolida lattuale legge, ci costringe a un meccanismo forzoso di premio di maggioranza che è lopposto di quello che ha proposto Veltroni. Se il Pd fosse costretto ad andare al voto con la legge del referendum, il Pd sarebbe costretto ad aggregarsi con altri per motivi di competitività in un agone elettorale» ma, incalza Rutelli, «con le alleanze coatte non si governa». Al ministro dei Beni Culturali risponde Beppe Pisanu, ribadendo lindisponibilità di Forza Italia ad adottare un testo che favorirebbe il principio delle «mani libere». «Io difendo la prima bozza Bianco sulla quale si è aperto il dialogo ma boccio la seconda stesura perché configura un proporzionale puro anche se temperato dallo sbarramento al 5%». Un sistema che creerebbe «6-7 partiti che andrebbero in ordine sparso alle elezioni».
Quel che è certo è che dentro il centrodestra sta già iniziando la conta dei voti in Commissione Affari Costituzionali. Lo «score», dopo la presa di posizione della Lega a favore del referendum, vede i no in vantaggio 14 a 13, sempre che lex Pdci, Fernando Rossi e il verde Tibaldi mantengano intatta la loro contrarietà alla soluzione proposta dallex sindaco di Catania. Lo scenario, naturalmente, continua ad essere molto mobile ma, al momento, non sembrano aprirsi spiragli per un accordo in extremis. E tra i partiti più piccoli cresce il nervosismo e la paura di sparire dalla scena politica, o di perdere comunque buona parte del proprio potere contrattuale perché per sopravvivere sarebbero costretti a chiedere ospitalità in super-liste costruite dai partiti più grandi come Forza Italia e il Pd. Uno degli effetti delleventuale sì al referendum promosso dalla coppia Segni-Guzzetta, sarebbe infatti quello di attivare, nei fatti, una soglia di sbarramento del 4% che poche formazioni politiche oggi in Parlamento possono permettersi di superare e che cancellerebbe 47 fra deputati e senatori presenti in Parlamento: le formazioni piccolissime che trovano posto allinterno dei gruppi Misti di Camera e Senato. Lo sbarramento al 4% metterebbe in difficoltà anche una lunga lista di partiti, dai Verdi al Pdci, dai Socialisti alla Dc per lAutonomie.
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