"Le botte e le molotov a casa. Negli anni '90 io nel mirino"

L'ex vicesindaco di Milano Riccardo De Corato: "Finalmente lo Stato oggi fa lo Stato. Protesteranno, ma lì dentro non ci tornano"

"Le botte e le molotov a casa. Negli anni '90 io nel mirino"
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Soddisfatto?

"Finalmente dopo 31 anni lo Stato fa lo Stato".

Ha passato buona parte dei suoi 73 anni a combattere contro il Centro sociale Leoncavallo che considera in un certo senso la sua nemesi. Per questo e per molto altro nel giorno "storico" dello sfratto dai locali dell'ex stamperia di via Watteau, a Greco, un'intervista al deputato di Fratelli d'Italia e vicepresidente della Commissione Affari Costituzionali della Presidenza del Consiglio, già vicesindaco di Milano, nonché assessore alla Sicurezza di Regione Lombardia Riccardo De Corato era quasi d'obbligo.

Ricordi? Tanti immaginiamo...

"L'8 settembre 1994 il Leoncavallo venne sgomberato dalla vecchia sede di via Salomone. Erano in migliaia all'interno dello stabile e mandarono 18 poliziotti in ospedale. Ricordo il questore di allora, Achille Serra e il sindaco, Marco Formentini che acconsentì a quello sgombero. Gli antagonisti girarono per 4-5 giorni per la città in cerca di un'area dove accamparsi, poi trovarono via Watteau dove però i Cabassi concessero loro di restare"

Un fatto questo incomprensibile per lei?

"Beh è un dato di fatto che i Cabassi per oltre trent'anni non hanno detto nulla, tollerando l'occupazione e 131 accessi mai portati a termine perché le condizioni per sgomberare non c'erano".

Il Centrodestra, il sindaco Gabriele Albertini e neanche Letizia Moratti riuscirono a sfrattare il Leonka.

"Non c'era né la volontà politica né quella della magistratura. Per sgomberare un centro sociale prima dell'intenzione del Ministero è necessaria quella dell'autorità giudiziaria con una ordinanza che dia l'okay alla prefettura per l'accesso dell'ufficiale giudiziario nei locali in questione"

Lei venne malmenato dai leoncavallini...

"Nell'89 in piazza Argentina. Stavamo facendo una pagoda per i giovani cinesi che si opponevano ai carri armati di Pechino, stavo uscendo dalla metropolitana dopo essere andato a mangiare un boccone... I leoncavallini bastonarono me e la pagoda, mandarono in frantumi le vetrine del cinema Argentina".

Non solo...

"Tra l'89 e il '90 tirarono delle molotov contro casa mia e scrissero degli insulti sui muri del condominio. Mio figlio Marzio, che all'epoca aveva solo 3 anni, si spaventò moltissimo".

Quando ha capito che qualcosa stava cambiando?

"Il 31 luglio di quest'anno io e un gruppo di altri parlamentari andammo al Viminale dal ministro Matteo Piantedosi per scongiurare il trasferimento del Leoncavallo al Corvetto. Gli consegnai un dossier su tutto quello che il centro sociale aveva combinato a Milano negli anni chiedendogli delle garanzie. Il ministro dell'Interno promise che l'avrebbero sfrattato".

Lo sfratto però è avvenuto prima della data prevista, il 9 settembre

"Mi sembra una questione di opportunità. Se lo sfratto ci fosse stato per la data prevista si sarebbero fatti trovare dentro in migliaia. Sono antagonisti particolari quelli del Leonka, loro vanno in ferie... Come si dice, chi va in montagna...".

Cosa l'ha impressionata nelle immagini dello sfratto?

"Su Mediaset hanno ripreso un murales all'interno delle mura di via Watteau dove è ritratto un bastone che si abbatte su un poliziotto. Un emblema di quello che è stato il centro sociale"

E cosa le dispiace?

"Che a pagare siamo sempre e solo noi. Cabassi, la proprietà, ha chiesto tre milioni allo Stato perché Marina Boer, presidente dell'associazione Mamme del Leoncavallo che è titolare della gestione degli spazi di via Watteau in quanto ente legale, ha già dichiarato che lei ha solo la pensione... Quindi!"

Cosa è venuto meno da parte del Leoncavallo?

"Sono molti meno di un tempo, sono invecchiati e il sindaco Sala al momento ha ben altre gatte da pelare. Faranno qualche corteo, ma lì dentro non ci rientreranno più".

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