Roma

A Boville in cerca di buon olio e artigianato di qualità

Nel medioevo il paese si chiamava Bau

Renato Mastronardi

Nel medioevo Boville Ernica, il paese ciociaro che dista appena qualche chilometro dal capoluogo e che si pone a cavallo fra la Valle del fiume Liri e quella del fiume Sacco, si chiamava anticamente Bauco.
E, sull’origine del vecchio toponimo, corrono voci e leggende. Le maggiori, che vengono ricordate dai vecchi sono comunque due: la prima racconta che mentre i primitivi abitanti del luogo stavano in piazza per assegnare un nome al villaggio irruppe un cane che abbaiando «bau bau» si impadronì del centro della piazza denominando così il paese col nome di Bauco. La seconda vuole che l’attuale nome, Boville Ernica, derivi dal culto locale per il dio Bove. Resta il fatto, anche alla luce di non pochi ritrovamenti archeologici, che il luogo, immediatamente dopo la caduta dell’Impero Romano, fu a lungo percorso da ripetute invasioni e devastazioni barbariche. Tant’è che intorno all’anno Mille, il sito venne fortificato con un imponente cinta muraria. Nonostante ciò il Castello di Boville fu saccheggiato, incendiato e conquistato più volte: nel 1155 da Guglielmo il Malo, nel 1170 dal Barbarossa, nel 1186 da Enrico VI e, nel 1194, dalle truppe di Eugenio di Rochemburg. Da questo momento il Castello aprì le sue porte agli abati di Montecassino, a quelli della vicina Calamari ed ai Vescovi di Veroli. Bisognerà attendere il primo Cinquecento per assistere ad un «risorgimento» politico, economico, sociale ed urbanistico di Boville. Così avvenne per opera di un bovillese, il cardinale Ennio Filonardi, salito agli scanni più alti del governo dello Stato Pontificio. Di seguito, nel Settecento, anche grazie ad una vivace espansione demografica fu necessario procedere ad un incremento del disboscamento per reperire nuove terre coltivate. Da ciò nell’economia locale prese il sopravvento la coltivazione dell’olivo. E, insieme, si introdusse l’allevamento del baco da seta e, quindi, si incoraggiò la lavorazione del filo serico. Ma, in pieno Ottocento, si verificò il declino della lavorazione della seta e delle piante tessili, che nella seconda metà del secolo, si tradusse in una massiccia emigrazione dei bovillesi verso Roma (edili) e verso il Nuovo Mondo. Un fenomeno che si è protratto fino alla fine degli anni Settanta del Novecento.
Boville è oggi uno dei centri più attivi della provincia di Frosinone. Accanto alla sopravvivenza di un qualificato artigianato antico e moderno, sussiste ancora una agricoltura intensiva con notevole produzione di olio, vino e formaggio pecorino. Ed è proprio la campagna che da tono e sostanza alla cucina, appunto con l'utilizzo del suo eccellente olio. Questo è riuscito a rispolverare la tradizione più genuina tipica della gastronomia ciociara. Panzanelle dell’ortolano, minestra «pano sotto», maltagliati e fagioli, fettuccine casareccie e, superbi, i quadrucci con le cotiche. Tra i secondi pollo alla diavola, bistecche di manzo ed agnello, possibilmente di Prato di Campoli.

Il vino è quello locale, è preferibile orientarsi verso quello rosso piuttosto che bianco.

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