Bpi sceglie il partner e vola a Piazza Affari

Tra le ipotesi quella di una lista ristretta con le pretendenti più accreditate

da Milano

La Banca popolare italiana sceglie il partner e la Borsa si entusiasma. Soprattutto perché sembra ormai tramontata l’ipotesi di un futuro in solitaria per l’istituto lodigiano, ipotesi a lungo caldeggiata dal numero uno operativo dell’istituto Divo Gronchi. Alla vigilia del consiglio di amministrazione della banca che dovrebbe iniziare a sciogliere il nodo delle alleanze (la seduta è in calendario per le 11 di oggi), il titolo Bpi ha chiuso in rialzo del 4,3% con un prezzo di riferimento di 9,823 euro; sostenuti i volumi, con 24,2 milioni di azioni passate di mano, pari al 3,5% del capitale. Positive anche le pretendenti Popolare di Milano (+1,4%) e Popolari Unite (+1,1%). La Popolare di Verona e Novara (-0,2%) e quella dell’Emilia (-0,5%) hanno invece chiuso in calo.
Secondo le previsioni più accreditate, nel board di oggi si dovrebbe profilare un testa a testa tra la Verona Novara e la Popolare di Milano, anche se formalmente saranno cinque le proposte sul tavolo dei consiglieri: quelle delle quattro popolari candidate (Bpm, Bpvn, Bper e Bpu), e quella relativa alla cosiddetta ipotesi «stand alone». «L’aggregazione rappresenta per noi un'opportunità, non una necessità», ha sempre detto Gronchi. Ma le velleità di indipendenza sembrano essere state frustrate dall’ultimo incontro che il presidente dell’istituto lodigiano Piero Giarda ha avuto la settimana scorsa in Banca d’Italia. Tema del vertice era la risposta alla recente ispezione che i tecnici di Palazzo Koch hanno svolto nell’ex banca di Gianpiero Fiorani. Dal colloquio sarebbe emerso l’invito, garbato ma pressante, degli uomini di Mario Draghi a una fusione che possa risolvere i problemi gestionali e organizzativi dell’istituto lodigiano.
Matrimonio, dunque, deve essere. Ma i problemi non finiscono qui: il consiglio di amministrazione della Lodi sembra diviso tra due correnti. La prima, quella dei consiglieri più sensibili alle «lusinghe politiche» della Popolare di Milano e del suo presidente Roberto Mazzotta. La seconda, invece, favorevole all’unione con una banca più solida ed efficiente come la Popolare di Verona e Novara. In mezzo, un gruppo di consiglieri (almeno cinque o sei su 16) che appaiono ancora indecisi. A complicare le cose è un ulteriore elemento: le nozze dovranno poi essere approvate dall’assemblea dei soci. Con il voto capitario proprio delle banche popolari ogni singolo gruppo organizzato (quello dei dipendenti in testa) dovrà essere conquistato al progetto. E non è detto che la base condivida le scelte del cda. Secondo valutazioni diffuse, a riscuotere i maggiori consensi a livello territoriale è una proposta che appare invece debole a livello economico-finanziario, quella della Banca Popolare dell’Emilia. Anche per questo è probabile che la scelta di domani non sia quella finale ma che si arrivi solo a una prima lista ristretta e che sui nomi presenti in questa lista si cerchi poi di coagulare il consenso degli azionisti.
Nelle ultime settimane a indebolire le posizioni della Popolare di Milano è stato soprattutto l’atteggiamento di alcune delle sigle sindacali che nell’istituto milanese contribuiscono in maniera decisiva alla nomina dei vertici.

A spaventare sono i risparmi legati alle sinergie di eventuali nozze con la ex Lodi (a seconda dei vari progetti presentati andrebbero tra i 400 e i 600 milioni di euro). In pratica si tratta di tagli, a cui, sia pure in parte, gli stessi dipendenti della Milano non potrebbero non sfuggire.

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