Bpm boccia il diktat di Bankitalia. Via al «piano B»

I dipendenti-soci della Banca Popolare di Milano respingono il diktat di Bankitalia sulla riforma della governance. In poco più di sette ore l’assemblea ha digerito l’aumento di capitale da 1,2 miliardi e la modifica del prestito convertendo, ma ha bocciato la richiesta di innalzare da 3 a 5 le deleghe di voto: l’esito, accolto tra gli applausi, ha visto solo 1.731 voti a favore contro 2.093 «no» su un totale di 3.835 azionisti, deleghe comprese (11 gli astenuti). Sebbene il gruppo abbia in sostanza gettato le basi per risolvere tutti i rilievi patrimoniali emersi, resta lo schiaffo sulla governance a Bankitalia e al cda, che si è visto respingere parte del pacchetto che aveva, pur obtorto collo, licenziato all’unanimità.
In Piazza Meda le macchine diplomatiche sono tuttavia già al lavoro per individuare un «Piano b», finalizzato a diluire lo scontro sulle deleghe in un più ampio ragionamento sulla vita della cooperativa e sugli equilibri di vertice. Il presidente Massimo Ponzellini ha comunque rimarcato di non sentirsi sfiduciato dall’assemblea, aggiungendo che «semplicemente» la pancia dell’istituto «ha ritenuto non fosse il momento idoneo per intervenire sulle deleghe (già elevate da 1 a 3 in aprile ndr)». Il riferimento è al presidente dell’Associazione degli Amici, Alessandro Dall’Asta, che ieri ha motivato l’opposizione dei dipendenti-soci con il timore che in Bpm prevalgano «gruppi organizzati che privilegiano il capitale rispetto alla persona», aggiunendo però che il dissenso all’aumento delle deleghe «non è un no di chiusura». In pratica ci sono margini per una mediazione, tanto che Ponzellini ha confermato l’obiettivo di rinnovare la governance «entro l’anno», in tempo per la scadenza del cda fissata in primavera e si è augurato rientrino le dimissioni dal cda minacciate da Franco Debenedetti, che non pare però per nulla intenzionato a ripensarci.
A questo punto si attende la reazione della Vigilanza che con ogni probabilità tornerà ad alzare la voce per rimarcare l’input sulla governance disatteso ieri. La verifica con Via Nazionale è prevista «a brevissimo, entro una settimana ci vediamo», ha detto Ponzellini aggiungendo: «Nessuno sa che cosa accadrà». «Non mi aspetto niente di particolare - ha minimizzato il direttore generale Enzo Chiesa - con la Vigilanza abbiamo ormai un rapporto continuo, di mese in mese facciamo vedere loro la nostra road map. Torneremo a discutere con loro dell’esito dell’assemblea». Ponzellini e Chiesa hanno comunque gettato le basi patrimoniali per il rilancio della banca, di cui l’aumento da 1,2 miliardi è uno strumento.
Completata anche la casella del consorzio di garanzia, con l’adesione di una decina di istituti esteri che si divideranno l’eventuale inoptato così da frammentarlo ed evitare concentrazioni di capitale potenzialmente rischiose per la sopravvivenza delle cooperativa: nella squadra guidata da Mediobanca figurerebbero Rbs, Hsbc e Bnp Paribas, oltre agli alleati del Crédit Mutuel e ad Akros (la merchant bank di casa).
A combattere perché Bpm accettasse tutte le richieste della Vigilanza erano stati invece il fronte dei pensionati e il leader dei soci non dipendenti, Piero Lonardi: «Stiamo servendo al mercato la banca a prezzi di liquidazione. L’unica risposta è la modifica della governance, riportando l’azienda al centro della cooperativa». Di parere opposto il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, che ha invitato a rispettare la volontà dei soci rimarcando che il verdetto dell’assise «non è un attacco a Bankitalia».

L’unico a rompere il fronte sindacale era stato invece il leader della Fisac-Cgil, Agostino Megale, invitando pubblicamente ad accettare le indicazioni della Vigilanza, ma stando ai numeri non ha avuto grande seguito tra i suoi attivisti milanesi.

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