«È sbagliato regalare ad Al Qaida movimenti come Hamas ed Hezbollah. Hamas si è reso protagonista di atti terroristici, ma è anche un movimento popolare: per l'Occidente non riconoscere un governo eletto democraticamente, magari mentre andiamo a braccetto con qualche dittatore, non è una straordinaria lezione di democrazia». Se Massimo D'Alema ripetesse queste parole, buttate là quasi casualmente durante una festa dell'Unità a San Miniato, nel corso del suo odierno incontro con il plenipotenziario del «Quartetto» Tony Blair, ci troveremmo di fronte a un gravissimo - e per quanto ci risulta, non concordato - strappo nella politica estera italiana, a una fuga in avanti che non solo ci pone al di fuori delle nostre alleanze tradizionali, ma rinnega addirittura gli impegni solennemente assunti dal governo italiano quando Hamas vinse le elezioni palestinesi e costituisce un autentico schiaffo per Israele, dove Prodi si è appena recato in visita ufficiale.
La cosa è tanto più grave, in quanto fu proprio l'Italia, durante il suo ultimo semestre di presidenza dell'Unione Europea, a chiedere e ottenere che Bruxelles includesse Hamas nell'elenco delle organizzazioni terroristiche. Per soprammercato, la dichiarazione dalemiana contiene un'autentica bestialità: che Al Qaida possa infiltrarsi in Hamas è perfettamente possibile, tant'è vero che lo stesso Abu Mazen ha già denunciato la sua presenza a Gaza; ma che ci possa essere un accordo tra l'organizzazione di Osama Bin Laden, severa custode dell'ortodossia sunnita, e Hezbollah, una struttura rigidamente sciita che prende i suoi ordini da Teheran, è pura fantapolitica a uso dei militanti diessini.
Bisogna dire che l'uscita di D'Alema non costituisce proprio un fulmine a ciel sereno: con la sua famosa passeggiata di Beirut a braccetto di un esponente di Hezbollah durante la guerra del Libano aveva indicato chiaramente a chi vanno le sue simpatie in quella parte del mondo; le sue continue punture di spillo nei confronti di Israele lo hanno già messo più volte in rotta di collisione con la comunità ebraica italiana; e, nei giorni scorsi, sia lui, sia - un po' a sorpresa - Piero Fassino, avevano espresso riserve sulla opportunità di incardinare il processo di pace esclusivamente sul presidente Abu Mazen e su Fatah, cercando di isolare Hamas e il suo «feudo» di Gaza. Per questo, Fassino era stato anche attaccato da Piero Ostellino sul Corriere della Sera, cui ha ritenuto dovere rispondere con un articolo piuttosto capzioso che il quotidiano milanese gli ha tuttavia doverosamente pubblicato in prima pagina.
Solo con le parole di lunedì, tuttavia, il nostro ministro degli Esteri ha varcato il Rubicone. Se esse rappresentano la nuova linea italiana, significa che: 1) primi assoluti al mondo, rinneghiamo la linea ufficiale adottata concordemente da Usa, Ue, Russia e Onu, che nessun rapporto deve essere intrattenuto con Hamas fino a quando non rinuncia alla violenza, riconosce formalmente Israele e accetta tutti gli accordi già conclusi tra lo Stato ebraico e l'Anp; 2) che ci dissociamo dalla iniziativa appena lanciata da Bush di una Conferenza di pace comprendente Israele, il legittimo governo palestinese, la Giordania, l'Egitto e l'Arabia Saudita, ma con l'esclusione di Hamas; 3) che facciamo finta di ignorare che Hamas si è impadronita di Gaza con un sanguinoso golpe, e perciò si è messa da sola fuori legge pur avendo vinto le elezioni; 4) che, infine, vogliamo andare contro anche gli altri Paesi arabi, oggi tutti concordi nel ritenere che Hamas rappresenta un pericolo per la stabilità della regione che va isolata con un cordone sanitario.
Per completare l'opera, D'Alema non propone neppure una alternativa valida (forse perché non ce ne sono).
Livio Caputo
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