
Non bastavano i giudici. Ora Giorgia Meloni deve vedersela anche con gli ambasciatori. Da ieri circola una lettera firmata da almeno 38 ex rappresentanti diplomatici decisi a spiegarle perché deve imitare il presidente francese Emmanuel Macron e riconoscere lo Stato di Palestina. I nomi dei 38 sono prestigiosi, ma non proprio politicamente neutri. Tra essi si contano Rocco Cangelosi, già consigliere del presidente Giorgio Napolitano, Piero Benassi, ex-consigliere diplomatico di Giuseppe Conte, l'ex commissario europeo per l'industria Ferdinando Nelli Feroci e Stefano Stefanini, anche lui ex-consigliere di Giorgio Napolitano. E al prestigio dei nomi non corrisponde, almeno nella lettera, una pari qualità di contenuti.
Il documento dei 38 è basato su considerazioni più politiche che diplomatiche e sembra dimenticare un tema precipuo per un ambasciatore ovvero le condizioni per il riconoscimento di uno stato sovrano. Ma partiamo dalla lettera. "Gli esecrabili attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 - esordiscono i 38 - non hanno più alcuna relazione, né quantitativa né qualitativa, con l'orrore perpetrato nella Striscia da Israele nei confronti della stragrande maggioranza di civili inermi, che non ha nulla a che vedere con il diritto di Israele all'autodifesa e che non è affatto improprio qualificare in termini di pulizia etnica". Oltre a escludere i massacri del 7 ottobre come elemento di giudizio politico, gli ex diplomatici sembrano esigere, insomma, il riconoscimento della Palestina non sulla base dei suoi eventuali traguardi, ma delle malefatte del governo Netanyahu. Già qui è evidente un doppio errore. Il primo è quello di applicare una considerazione morale e militare, riferita non allo Stato d'Israele ma al suo attuale governo, per giustificare la nascita dell'entità statuale palestinese. Il secondo è quello di scordare la Convenzione di Montevideo, il documento fondante - in base al diritto internazionale - per la codificazione del concetto di sovranità e statualità. La convenzione firmata nel 1933 stabilisce le quattro condizioni indispensabili per definire uno stato sovrano. La prima è avere una popolazione permanente. E già qui non ci siamo. Ai quattro milioni di palestinesi della Cisgiordania e ai due della Striscia vanno aggiunti quelli disseminati tra Libano, Giordania e gli altri paesi arabi. Una diaspora che non è possibile né censire con esattezza, né considerare parte di un solo singolo Stato. Ma ancor più irrealizzata è la definizione di un' "area geografica precisa" che rappresenti il "territorio" dello Stato da riconoscere. La presenza degli insediamenti israeliani rende difficile dire quanta parte della Cisgiordania farà parte della Palestina e quale sarà la sua capitale. E ancor più ipotetica appare la futura definizione della Striscia di Gaza. La divisione territoriale diventa ancor più ostativa se ci considera la terza clausola ovvero l'esistenza di un "governo effettivo capace di esercitare il controllo sopra territorio e popolazione".
È evidente che l'esistenza a Gaza di un governo di Hamas a cui si contrappone in Cisgiordania quello dell'Autorità Palestinese del presidente Mahmoud Abbas basta a vanificare il tutto.
A far saltare la quarta condizione ovvero "la capacità di intrattenere relazioni legali e diplomatiche con altri stati" ci pensano gli Stati Uniti, pronti da sempre a usare diritto di veto per evitare un riconoscimento dello Stato d'Israele da parte del Consiglio di Sicurezza. Quanto basta per capire che un riconoscimento italiano, allineato a quello francese, varrebbe quanto la carta straccia.