Le montagne sono quelle di Buzzati. Davide Bortoluzzi si ritrova a venticinque anni a vivere a Belluno. Il padre fa il geometra, prima o poi il destino lo avrebbe portato da quelle parti, in un ufficio, a tracciare linee, studiare progetti. Ci ha pensato su per un po’ di tempo. Poi ha guardato oltre, verso le montagne, cime aguzze come dita puntate contro il cielo, da scalare, con quelle curve da Giro d’Italia, con il sole che crea riflessi strani. Fare il geometra non era il suo mestiere. Qualche soldo l’aveva, il resto lo ha ottenuto con una serie di finanziamenti, e si è comprato un gregge di cinquecento pecore, più muli e cani e se ne è andato sui pascoli delle Tre Cime di Lavaredo, come un cow boy, vivendo anche dei campi, da contadino, e salvando dall’estinzione una razza ovina, l’agnello di Alpagoto.
Sono arrivati da tutte le parti, di mattina, in un posto che di solito ospita gente diversa: scrittori, attori, musicisti. L’Auditorium di Roma, quello disegnato da Renzo Piano, diventa lo scenario di una riunione di contadini under trentacinque. Sono più di duemila. Sono arrivati qui chiamati dalla Coldiretti e sono il volto di un’Italia diversa da quella che di solito viene raccontata. Si parla poco dei contadini. Sono un figura che sembra appartenere al passato. Evoca i latifondi pugliesi di Di Vittorio o i cafoni di Fontamara. Scordatevi per ora tutto questo. Questi qui vogliono dimostrare che di terre si campa e si campa bene. Qualcuno ha ereditato aziende di famiglia, altri si sono inventati una professione. C’è chi ha deragliato dallo studio del padre notaio e chi è sfuggito alla disoccupazione. Molti sono laureati e prima di darsi all’agricoltura si sono fatti un giro per il mondo. Sono un élite, certo, ma la prima cosa che noti sono due qualità: coraggio e inventiva. Questa élite contadina fa impresa e fa anche lavorare parecchia gente. La Coldiretti dice che da qui nei prossimi dieci anni arriveranno 250mila posti. Già adesso, in controtendenza rispetto a altri settori, nelle campagne l’occupazione è salita del 2 per cento. Gli autonomi sono 462mila, i dipendenti 429mila (più 3,3 per cento). Sanno sfruttare i finanziamenti europei, ma soprattutto pensano senza frontiere. Quando parlano di mercati citano la Cina, l’Australia, il Giappone. Quasi tutti si lamentano che hanno difficoltà a trovare manodopera, quella tradizionale e non solo. Mancano trattoristi, taglialegna, potatori, vignaglioli, macellatori, operai per la produzione di yogurt e formaggi. Non è facile, in queste campagne diverse dai latifondi della raccolta pomodori, trovare perfino i lavoratori stagionali.
Lì vedi qui, a spiegare i loro affari, che spesso sono fatti di sogni, e ci credono, scommettono, con gli occhi che brillano. Ci sono i due ragazzi salentini che si sono inventati la crema di oliva. È dolce, a vederla nella crostata sembra quasi nutella, e si vende in barattoli con la scritta in rosa: olivotto. Matteo Furlani vende la crema viso allo spumante, 80 euro al dettaglio. Domenico Pozzi, da Morosolo, cerca la perfezione nel «fiore finale», il fiore che ha in sé tutti i fiori, l’orchidea.
Mosè è di Varapodio, vicino a Reggio Calabria, e la sua missione è il bergamotto. Non soltanto la polpa, quella si vende bene come frutto, elisir, in pasticceria, ma anche la buccia, che diventa souvenir. Mosè ti racconta che dalle sue parti il tabacco da fiuto, da masticare o da pipa è usanza antica. «I nostri bisnonni per aromatizzare il tabacco si erano inventati con la buccia riversa del bergamotto una tabacchiera con tappo a vite. Lo annusavano versandone un pizzico nel cavo dell’avambraccio, il “Cavo del Tabacco”. La tradizione si perse. Fu il parroco del paese, Don Antonino De Masi, a salvare i ricordi. Si era messo in testa che bisognava recuperare questo oggetto. Mise su una bottega con l’aiuto e i ricordi di un vecchio contadino di Gallico, Pasquale Pizzimenti. È da lì che è ricominciato tutto». Come dicono dalle sue parti, siamo tutti sudditi di sua maestà il bergamotto.
Cosa accade se due amici scoprono di poter sfruttare le loro risorse per conquistare i mercati giapponesi? Uno è il giovane erede di un’azienda chiamata «La piemontesina». Sono anni che hanno scommesso sul latte d’asina, l’altro ha vissuto a Tokyo per imparare il giapponese. Si sono messi insieme per produrre creme e cosmetici di latte equino. La «Bianca Cosmetic» è il loro viaggio alla ricerca dell’oriente. Maria Letizia Gardoni parla della terra con la stessa forza di Rossella O’Hara, stringe i pugni e ti fissa senza mai abbassare lo sguardo. I genitori sono dipendenti pubblici, con un bel po’ di terra da parte, nove ettari. Lei a 19 anni decide che quella è la sua terra. Terra di Osimo, in provincia di Ancona.
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