Pedro Armocida
da Venezia
È un po paradossale ma azzeccata la scelta del direttore della Mostra Marco Müller di portare in un tempio della lirica, il teatro La Fenice, un film tratto da un'opera famosa come Il flauto magico di Mozart, rappresentato per la prima volta a Vienna, il 30 settembre 1791, poco prima della morte del grande compositore austriaco avvenuta il 5 dicembre dello stesso anno. Pochi mesi dopo, il 16 maggio 1972, veniva inaugurato La Fenice, teatro risorto tre anni fa dopo un devastante incendio. Ma, date a parte, l'occasione di partecipare alla proiezione di questo nuovo The Magic Flute diretto da Kenneth Branagh, attualmente nelle sale anche con lo shakespeariano As you like it, era molto ghiotta e ha mosso la Venezia che conta. Anche se la contemporanea proiezione in Sala Grande al Lido dell'atteso e modaiolo Il diavolo veste Prada ha un po' diviso le presenze. Più mondane al palazzo del Cinema con Mike Bongiorno, Marta Marzotto, l'insospettabile Franco Grillini e naturalmente Valentino, più istituzionali alla Fenice con i ministri della cultura di vari Paesi, tra cui il francese Renaud Donnedieu de Vabres. Dopo i 135 minuti del film duecento selezionatissimi invitati, come si dice in questi casi, hanno preso parte alla cena di gala nei saloni del palazzo Cavalli Franchetti sul Canal grande.
Marco Müller ha descritto il film, acquistato in Italia da Rai Cinema, come «uno tra i più fortunati incontri dell'opera lirica con il cinema, divertentissimo e scatenatissimo sarà in grado di annullare le barriere tra i diversi gruppi di spettatori: acchiappare i più giovani e sfidare i più raffinati». Certo i puristi, che si attendevano una fedele trasposizione del Flauto magico, hanno arricciato un po' il naso di fronte all'arrischiata operazione del regista che ha deciso di cambiare quasi tutto. Così, forse, la cosa meno scandalosa è sembrata l'adattamento, curato da Stephen Fry, del libretto originale di Emanuel Schikaneder dal tedesco all'inglese, in fondo Ingmar Bergman nella sua celebrata trasposizione cinematografica del 1975 l'aveva tradotto in svedese. Più difficile da digerire è il cambiamento d'epoca dall'antico Egitto alla prima guerra mondiale con l'annullamento di tutti i riferimenti spirituali, esoterici ed anche massonici dell'opera originale. Una scelta che Kenneth Branagh, reo confesso di essere un neofita assoluto del mondo dell'opera, difende a spada tratta perché, dice, «la mia intenzione era proprio di rendere Il flauto magico molto accessibile a un pubblico di persone che magari neanche si può permettere un biglietto all'opera. Con un linguaggio più vicino al cinema e alla televisione che al teatro. Questo tipo di approccio non è avvenuto in modo razionale ma naturale, l'unica cosa che ero sicuro di non voler fare era un'altra delle tante statiche versioni Flauto». Così il regista inglese ha spinto letteralmente l'acceleratore della sua macchina da presa che spazia con una libertà aerea impressionante, consentita dalle moderne tecniche digitali, dalle trincee al cielo e nei palazzi avvicinandosi esteticamente più alla saga di Harry Potter (di cui, sarà un caso?, Branagh è stato protagonista nell'episodio della Camera dei segreti) che ai suoi lavori precedenti. Immutato invece il gusto per l'ironia di molte sequenze perché, spiega, «sono rimasto così colpito dall'umorismo serpeggiante nell'opera di Mozart che l'ho addirittura accentuato, alla ricerca di un'interpretazione più libera e meno schematica della storia. Ho scelto poi lo sfondo della prima guerra mondiale perché fornisce anche il set per un'avventura epica e di suspense coerente con la narrazione cinematografica». Ma, naturalmente, non solo per questo.
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