Brendel saluta con Haydn e Schubert

Prossimo alla invidiabile soglia degli ottant’anni ancora in attività, un pianista della statura artistica, culturale e anche morale di Alfred Brendel, è perfino giusto che decida in tutta lucidità che è giunta l’ora di chiudere con l’attività pubblica. Pochi concerti ancora e poi stop. Questa sera (ore 21 sala Santa Cecilia del Parco della Musica) l’ultimo concerto romano, a novembre l’ultimo italiano (Milano), poi Vienna, per l’addio definitivo, a coronare una carriera lunga e gloriosa. Nel suo programma romano, gli amatissimi di sempre: Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert - soprattutto il «classicismo viennese», del quale Brendel ha dato prova di essere intelligente custode della tradizione esecutiva e acuto studioso.
Brendel - per sua stessa ammissione - non è di quei pianisti che ha «smosso le montagne», come Benedetti Michelangeli e Pollini. Ma con gli altri due pianisti ha qualcosa in comune: condividono lo stesso giorno di nascita, il 5 gennaio; e per un’altra coincidenza che lega i tre, complice ancora il calendario: sono nati a 11 anni di distanza l’uno dall’altro. Benedetti Michelangeli nel 1920, Brendel nel 1931 e Pollini nel 1942. Perciò, a dispetto delle stelle, il cammino dei tre con gli anni si è rivelato distante anni luce l’uno dall’altro. Bambini prodigio i due italiani, posato professionista l’austriaco, che inizia la sua carriera di concertista già avanti negli anni. E se, a ben riflettere, Pollini, il più giovane dei tre, ha in sé qualcosa dell’uno e dell’altro (di Benedetti Michelangeli ha la baldanza strumentale, mentre lo lega a Brendel il rispetto per la pagina scritta); Brendel, invece, può vantare qualcosa di esclusivo rispetto agli altri due: la capacità di indagine che è propria dello studioso di razza.


Nel programma ceciliano propone un percorso, temporalmente ossequioso, che va da Haydn (Andante con variazioni) a Mozart (Sonata in la maggiore e Rondò in fa maggiore), a Beethoven (Sonata n.13) a Schubert (Sonata in si bemolle maggiore).

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