Brexit

Via alla Brexit, ecco cosa succede

In ballo ci sono 60 miliardi di euro

Via alla Brexit, ecco cosa succede

Con appena 48 ore di anticipo sul termine che si era dato, il governo britannico invoca oggi l'articolo 50 per mettere in moto i negoziati per la sua uscita, dopo 44 anni, dall'Unione Europea. Secondo molti osservatori, saranno le più complesse trattative mai condotte tra Stati. Il trattato dice che dovrebbero concludersi in due anni, e soltanto se tutti saranno d'accordo potranno essere prolungati. L'alternativa è che la Gran Bretagna lasci la Ue sbattendo la porta. Londra punta a mantenere il libero accesso al mercato unico e il «passaporto» che consente alla City di operare senza ostacoli nella Ue, ma senza rinunciare alle due motivazioni principali della Brexit, cioè porre fine al libero accesso dei cittadini europei e affrancarsi dalla giurisdizione della Corte Europea.

Cosa accade da oggi dopo l’«invocazione» dell’articolo 50?

Con la consegna personale al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk della lettera con cui il Regno Unito notifica l'intenzione di uscire dall'Ue, oggi parte di fatto il conto alla rovescia per il divorzio britannico dall'Unione Europea. Si tratta di un percorso lungo e straordinariamente complesso, che richiederà nella migliore ipotesi due anni, ma probabilmente di più. Oggi non si concretizzerà quindi alcuna Brexit: il 29 aprile si terrà un vertice Ue per definire le linee guida per i negoziati tra Londra e Bruxelles, che dovrebbero iniziare entro un paio di mesi.

L’uscita dall’Ue è una procedura irreversibile?

In teoria no. Londra potrebbe volendo tornare sui suoi passi e revocare il suo appello all’articolo 50. Questo (sempre ipoteticamente) potrebbe accadere qualora un nuovo Parlamento britannico avesse una maggioranza chiaramente europeista: il percorso inverso potrebbe passare per un nuovo referendum (già oggi si ritiene che la Brexit non vincerebbe). Ma sembra davvero improbabile che in un prossimo futuro qualsiasi politico britannico voglia assumersi la responsabilità di un simile «contro-terremoto», con tutte le sue complicate conseguenze.

Quali le conseguenze se nei prossimi 2 anni non si trova un’intesa?

In base alla regola europea che prevede non più di due anni di negoziato, la data prevista per l’uscita del Regno Unito dall’Ue è il 29 marzo 2019. Tuttavia, se per quel giorno non fosse stata raggiunta un’intesa completa tra Londra e Bruxelles, si aprono due opzioni: o i Ventisette accordano all’unanimità una proroga dei tempi del negoziato, oppure i britannici potrebbero decidere di abbandonare il tavolo senza un’intesa. La premier May ha avvertito in anticipo che non intende fare sconti, e ha dichiarato che «per la Gran Bretagna nessun accordo è meglio di un cattivo accordo».

Cosa succede ai cittadini europei che lavorano in GB?

Il destino dei 3 milioni di cittadini Ue residenti nel Regno Unito e del milione circa di britannici residenti nei 27 Paesi dell’Unione è uno dei punti più delicati del negoziato Brexit. In teoria le prospettive di queste persone, non più «coperte» dal diritto di libera residenza nell’Unione, sono tranquille: non è però chiaro da quando decorrerebbero i 5 anni di residenza richiesti per goderne. Sicure invece le complicazioni della burocrazia: moduli di 85 pagine da compilare. E si calcola che per smaltire tutte le domande occorrerebbero 140 anni: il paradiso degli avvocati

Che cosa cambia per i turisti italiani diretti in Inghilterra?

Per il momento cambia poco. Il declino della sterlina si sta rivelando vantaggioso per chi ha in tasca il vituperato euro, che consente un maggiore potere di acquisto. Quando però il divorzio tra Londra e l’Europa sarà diventato operativo, ci saranno novità meno piacevoli: non basterà più la carta d’identità per sbarcare a Londra, ma servirà il passaporto; non sarà più valida la copertura garantita dalla Tessera sanitaria europea, ma sarà necessario stipulare un’assicurazione; per i biglietti aerei e per le tariffe della telefonia è facile prevedere aumenti anche pesanti.

Che cosa cambia per gli italiani che vivono a Londra?

Si calcola che attualmente risiedano in Gran Bretagna circa 600mila italiani, meno della metà dei quali legalmente registrati all’anagrafe britannica. Agli altri sarà richiesto di certificare e dimostrare la loro residenza, il che servirà con ogni probabilità a ottenere il futuro «residence permit», il permesso di residenza nel Regno Unito: per chi vi risiede da lungo tempo, o comunque da prima del referendum sulla Brexit, non dovrebbe essere un problema. Chi pensa di trasferirsi nel Regno Unito in futuro, dovrà invece attendere l’esito dei negoziati tra Londra e Bruxelles.

Che cosa cambia per gli italiani che studiano a Londra?

Il destino degli studenti italiani in Gran Bretagna dipenderà direttamente dall’esito dei negoziati sulla Brexit tra Londra e Bruxelles. Sono a rischio i vantaggi oggi garantiti dalla comune appartenenza all’Ue: parificazione agli studenti britannici, con possibilità di esenzione dal pagamento delle tasse universitarie o accesso a finanziamenti bancari per pagarle. In mancanza di accordi specifici, questi benefici saranno perduti: come attualmente accade per gli studenti extra-Ue, le tasse universitarie saranno elevate in maniera sensibile rispetto ai livelli attuali.

Quale futuro per il «Regno Unito»: finirà per dividersi?

Con l’uscita di Londra dall’Ue, il rischio di fratture all’interno del Regno Unito aumenta nettamente. È ben nota la volontà del governo di Edimburgo di separare la Scozia da Londra per rimanere nell’Ue: proprio ieri il Parlamento scozzese ha votato per un nuovo referendum indipendentista. Ma problemi molto seri sono in vista anche in Irlanda del Nord: i fautori dell’unione con Dublino rialzano la testa, non vogliono assolutamente che la Brexit porti il ritorno della frontiera tra l’Ulster britannico e l’Eire, indipendente come Repubblica d’Irlanda.

Quanto pagherà l’Italia per i contributi all’Ue che ora versa Londra?

Uscendo dall’Ue, il Regno Unito cesserà ovviamente di pagare la sua quota di contributi al bilancio comunitario: oggi sono 20 miliardi e 522 milioni di euro su un totale di oltre 152 miliardi. Per compensare questa mancata entrata, dal 2019 saranno possibili due soluzioni: o aumentare proporzionalmente i contributi per i 27 Paesi rimasti nell’Ue mantenendo lo stesso bilancio, oppure ridurre il bilancio e di conseguenza anche i fondi Ue per i Paesi membri. In entrambi i casi l’Italia, essendo il terzo più grande Paese dell’Ue, pagherebbe salato: circa un miliardo e 300 milioni di euro.

Quali saranno le ricadute economiche dell’addio inglese?

È certamente la domanda cui è più difficile rispondere. Il previsto declino dell’economia britannica è stato ad esempio finora compensato dal calo del valore della sterlina, che ha reso possibile una crescita del tasso di sviluppo economico. Più probabile invece che si avveri la previsione sulla decadenza di Londra come principale piazza finanziaria europea.

Simbolica dell’attesa fuga dalla City è la scelta dei celebri Lloyd’s di aprire la loro prima sede Oltremanica. Altre piazze finanziarie, tra cui Milano, aspirano a trarre vantaggio dalla crisi della City

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